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La sospensione con procedimento di messa alla prova:

profili di legittimità

Maria Flora Cafiero
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La sospensione del procedimento con messa alla prova è una modalità alternativa di definizione della vertenza penale, attraverso cui l’imputato ovvero anche l’indagato possono ottenere una sentenza di proscioglimento per estinzione del reato, all’esito appunto di un periodo di prova.

 

Questo istituto è stato inizialmente coniato per il solo processo minorile, dove le esigenze di rieducazione e reinserimento sociale sono più sentite. Vi sono, però, profonde differenze rispetto a quanto previsto dal codice di rito: l’applicazione della messa alla prova del minore non è subordinata alla richiesta del destinatario, come invece previsto per i maggiorenni, ma è rimessa alla sola valutazione del giudice, che deve vertere sulla personalità dell’imputato e sull’effettivo risultato in termini di risocializzazione che egli con il periodo di prova può ottenere. Se ne deve, pertanto, escludere la natura pattizia.

 

Con la legge 28 aprile 2014, n. 67 la messa alla prova è stata trasfusa anche nel procedimento a carico dei maggiorenni. Quest’istituto viene qualificato dal legislatore, all’interno del codice penale, come causa di estinzione del reato (art. 168 bis c.p., la cui disciplina è poi dettagliata ai successivi artt. 168 ter e 168 quater), mentre, in ambito processuale, come rito speciale alternativo al giudizio,il che ha comportato l’introduzione, all’interno del codice di procedura penale, di un apposito titoload esso espressamente dedicato (titolo V bis). L’applicazione della messa alla prova è rimessa allarichiesta dell’indagato/imputato, il quale deve predisporre un piano da sottoporre poi al vaglio del giudice. In questo contesto si inserisce la sentenza n. 201 del 2016 della nostra Corte costituzionale¹, che ha sancito la parziale illegittimità dell’art. 460 c.p.p. nella parte in cui non prevedeva che il decreto penale di condanna indicasse all’imputato la possibilità di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, in caso di opposizione.

 

Oggetto di frequente discussione, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, è la compatibilità della messa alla prova con l’art. 27 co. 2 Cost., il quale sancisce, com’è noto, il principio della presunzione di non colpevolezza. Infatti, l’applicazione della sanzione penale non avviene in questo caso a valle dell’accertamento giudiziale della responsabilità dell’imputato, posto che manca del tutto una sentenza di condanna. Ciononostante, la Consulta non ha ritenuto fondata la questione, sostenendo che non sussista alcuna violazione del precetto costituzionale, dato che il soggetto sottoposto alla messa alla prova non è dichiarato colpevole, ma vi è una sospensione del procedimento penale. Come sostenuto, infatti, anche dalle Sezioni Unite nella sentenza Sorcinelli di qualche mese precedente², l’istituto in esame prevede una rinuncia da parte dello Stato ad esercitare l’azione penale, in un’ottica special-preventiva, che predilige la risocializzazione dell’imputato, rinunciando ad un trattamento sanzionatorio detentivo. Tuttavia, il contemperamento di queste esigenze presuppone la commissione di un illecito penale, senza il quale non può darsi alcuna esigenza di rieducazione o prevenzione.

Da ultimo, ci sembra opportuno rilevare che in dottrina3 è stata proposta una diversa qualificazionedell’istituto, al fine di evitare i contrasti logici appena menzionati. Si sono rinvenute analogie conl’istituto della sospensione condizionale della prova, in quanto i due istituti comprendono entrambiun percorso di rieducazione. In entrambi i casi, la sussistenza del reato rappresenta un presupposto necessario. Pertanto, per evitare di considerare l’istituto in contrasto con la nostra Carta fondamentale, sarebbe necessario intendere la richiesta avanzata dall’imputato come un’ammissione di colpa o, meglio, un’accettazione della ricostruzione fattuale proposta.

1 Corte cost., sent. 21 luglio 2016, n. 201, Pres. Grossi, Rel. Lattanzi.

2 Cass., Sez. Un., 31 marzo 2016 (dep. 1 settembre 2016), n. 32672, Pres. Canzio, Rel. Fidelbo, Ric. Sorcinelli. Secondo la Suprema Corte la messa alla prova realizza una «rinuncia statuale alla potestà punitiva condizionata al buon esito di un periodo di prova controllata e assistita e si connota per una accentuata dimensione processuale, che la colloca nell’ambito dei procedimenti speciali alternativi al giudizio […]. Ma di essa va riconosciuta, soprattutto, la natura sostanziale. Da un lato, nuovo rito speciale, in cui l’imputato che rinuncia al processo ordinario trova il vantaggio di un trattamento sanzionatorio non detentivo; dall’altro, istituto che persegue scopi special-preventivi in una fase anticipata, in cui viene “infranta” la sequenza cognizione-esecuzione della pena, in funzione del raggiungimento della risocializzazione del soggetto».

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