Revenge porn – il reato a cui molti ancora non credono
Martina Strangis
Sfortunatamente, nelle ultime settimane, è tornato alla ribalta il delicato argomento del revenge porn. Ad accendere i riflettori sulla questione, questa volta, è stata la notizia della vicenda di una giovane maestra d’asilo costretta a dimettersi per aver inviato materiale sessualmente esplicito al proprio fidanzato. Questi, infatti, avrebbe poi inoltrato, una volta terminata la loro relazione, tale materiale nel gruppo Whatsapp degli amici del calcetto non solo violando la legge ma soprattutto ledendo l’intimità, la dignità e l’esistenza della ragazza. Non solo: è accaduto che –caso volesse- la moglie di uno tra i membri di suddetto gruppo vedesse le foto e riconoscesse nella donna ritratta la maestra d’asilo di suo figlio. Poco è bastato, conseguentemente, per la stigmatizzazione della giovane maestra che, già vittima di un’atroce violenza, si è trovata ad essere anche vittima dei pregiudizi e dell’ignoranza altrui. Infatti, sebbene vi sia stata parte dell’opinione pubblica che immediatamente ha condannato e stigmatizzato il comportamento dell’uomo (e quello della moglie dell’amico), non sono mancati commenti sgradevoli nei riguardi della maestra la quale, inviando quelle foto, “se l’era cercata”. Ciò a riprova del fatto che, sebbene il revenge porn oggi sia reato anche in Italia, vi è ancora molta strada da fare per quanto concerne, invece, la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, la quale, molto spesso, tende a scusare il revenge porn intendendolo come un evento del tutto giustificato e logicamente consequenziale, qualora si inviino foto e video dal contenuto spinto.
Che cosa significa “revenge porn”
L’espressione revenge porn è di origine anglosassone e significa letteralmente “vendetta porno” o “vendetta pornografica”. Il revenge porn consiste nella pubblicazione di fotografie o video che mostrano persone impegnate in attività sessuali o ritratte in pose sessualmente esplicite, senza che ne sia stato dato il consenso dal diretto interessato, ovvero la persona o una delle persone coinvolte.
La cronaca ha dimostrato come tale comportamento sia posto in essere soprattutto da persone legate alla vittima da un rapporto sentimentale (coniugi, compagni/e, fidanzati/e), che agiscono in seguito alla fine di una relazione per “punire”, umiliare o provare a controllare gli ex facendo uso delle immagini o dei video in loro possesso.
Codice Rosso e l’introduzione dell’art. 612 ter del codice penale
Negli ultimi anni, data la sempre più numerosa diffusione, anche in Italia, di tale comportamento odioso e considerata la sua profonda offensività, si è avvertita la necessità di procedere ad una doverosa criminalizzazione ad hoc di tali atti.
Così, lo scorso anno, a seguito di un acceso dibattito parlamentare (e non solo), è stato introdotto con la legge n. 69 del 19 luglio 2019 (cd. Codice Rosso) l’art. 612 ter del codice penale rubricato “Delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, con il dichiarato scopo di combattere in maniera maggiormente vigorosa la violenza di genere, fenomeno oggi purtroppo in espansione, accogliendo la comune esigenza di pene esemplari per gli autori di tali riprovevoli atti.
Tale articolo è collocato nella Sezione III del Codice penale, dedicata ai delitti contro la libertà morale, a sua volta inserita nel Capo III (“Dei delitti contro la libertà individuale”) del Titolo XII del Codice Penale (“Delitti contro la persona”). Tale collocazione permette, anche solo a livello intuitivo, di comprendere quali siano i beni giuridici tutelati dalla norma: in primis la libertà di autodeterminazione della persona ma anche il diritto all’integrità morale, l’onore, il decoro, la reputazione, il diritto alla riservatezza ed intimità privata e anche il diritto all’immagine, ovvero il diritto della persona a che la propria immagine non venga divulgata, esposta o comunque pubblicata senza il suo consenso e fuori dai casi previsti dalla legge.
Per sua stessa natura, infatti, dal punto di vista strettamente giuridico il revenge porn è un reato plurioffensivo. Ciò indica che la condotta criminosa posta in essere è idonea a ledere contemporaneamente una pluralità di beni giuridici e nello specifico i cosiddetti “diritti della personalità”, ovvero quei diritti soggettivi assoluti che spettano all’essere persona in quanto tale e funzionalmente diretti ad affermare e garantire esigenze di carattere esistenziale.
Tale fattispecie presenta, inoltre, una struttura articolata in due differenti ipotesi disciplinate rispettivamente al primo comma e al secondo comma.
Il primo comma dell’art. 612-ter c.p. punisce (salvo che il fatto costituisca più grave reato) “chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000”.
Da una prima lettura è chiaro che il reato sia da qualificare quale reato cd. “comune”, ovvero un reato che può essere commesso da ogni persona (“chiunque”) e ciò indipendentemente dal possesso di particolari qualifiche soggettive, status, condizioni, posizioni, qualità personali. In merito all’elemento soggettivo, il reato deve essere commesso con dolo generico, ovvero è necessario che l’agente sia consapevole del fatto e lo abbia cagionato volontariamente.
La condotta, invece, si dettaglia in cinque modalità alternative: la norma, infatti, punisce chiunque “invia”, “consegna”, “cede”, “pubblica” o “diffonde” le immagini o i video a contenuto sessualmente esplicito. È evidente che le prime tre condotte si basino su un contatto diretto tra l’agente e un terzo o più terzi determinati, mentre la diffusione e la pubblicazione ricoprono una più ampia e indeterminata cerchia di soggetti terzi.
In merito all’oggetto della condotta, il legislatore parla di “immagini o video a contenuto sessualmente esplicito”. Vi è da dire che l’indeterminatezza della norma, carente in termini di chiarezza, fa sì che sia la giurisprudenza, come spesso accade in questi casi, a definire dettagliatamente la portata dell’oggetto della condotta. Tali immagini o video, inoltre, devono essere “destinati a rimanere privati” e diffusi “senza il consenso delle persone raffigurate”, con l’evidente conseguenza che il consenso, qualora vi fosse, debba essere liberamente prestato e non viziato (errore, violenza o dolo).
Il comma secondo: revenge porn
Il comma secondo, diversamente, tratta quello che più comunemente è conosciuto come revenge porn. Tale comma prevede che “la stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini e i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare il loro nocumento”.
In questo caso, dunque, la responsabilità penale viene estesa ai cd. secondi distributori, cioè soggetti che, una volta ricevuti immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, senza il consenso delle persone rappresentate, li inviano, consegnano, cedono, pubblicano o diffondono, col fine di creare un nocumento.
Si badi bene che il fine ultimo del “recare nocumento” alla persona ritratta nelle immagini o video caratterizza il secondo comma, differenziandolo dal primo, dal punto di vista dell’elemento soggettivo che, in questo caso, è dolo specifico, ovvero l’aver agito non soltanto in modo volontario e consapevole ma anche con una finalità ulteriore (ledere l’altra persona).
Anche da punto di vista del soggetto attivo il secondo comma differisce dal primo. Invero, l’agente non contribuisce alla realizzazione dei contenuti osceni, ma si limita alla sua acquisizione (da terzi o dalla stessa persona ritratta) ed alla successiva diffusione.
Aggravanti e procedibilità
Per quanto riguarda la sussistenza di aggravanti, il terzo comma dell’art. 612 ter del codice penale prevede che la pena sia aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. Il quarto comma, invece, prevede un aumento di pena se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di infermità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.
Per quanto riguarda, invece, il regime di procedibilità, come spesso accade per reati inerenti a questioni particolarmente delicate quali la lesione di diritti personalissimi come l’onore, il decoro, la dignità e, più in generale, la lesione della propria sfera sessuale, il reato è punibile a querela della persona offesa che potrà essere proposta nel termine di sei mesi. Un’eccezione viene fatta nel caso del reato aggravato ai sensi del comma quarto, dunque in caso di danno alla persona in condizione di infermità fisica o psichica o di donna in gravidanza, ove è possibile procedere d’ufficio, col fine di assicurare una maggiore protezione alla categoria di soggetti in evidenza.
Le conseguenze “reali” della diffusione “virtuale”
Sebbene il revenge porn si consumi in rete, le sue conseguenze sono del tutto reali e devastanti. Infatti, essere vittime di revenge porn ha gravissime conseguenze sulla psiche dell’individuo. Spesso si riceve una diagnosi di PTSD (post traumatic stress disorder), accompagnata, molte volte, da depressione e perdita di fiducia negli altri. Grande impatto ha anche la vergogna suscitata dal sapere che chiunque per strada, al lavoro e sul tram potrebbe aver visto quei contenuti, che porta così il soggetto a sentirsi sempre meno sicuro e libero di uscire fuori casa. L’autostima della vittima è lesa principalmente a causa della sensazione di perdita di controllo sulla propria dimensione privata.
Le conseguenze, poi, possono portare a finali tragici e ingiusti come quello, tristemente noto, di Tiziana Cantone, suicidatasi in seguito alla diffusione, senza il suo consenso, sul web di un video che la ritraeva in atteggiamenti sessualmente espliciti.