Dolo eventuale vs colpa cosciente nel problematico caso Vannini
Luca Coppola
«Antonio Ciontoli esplose colposamente un colpo di pistola che attinse Marco Vannini»
È questa la motivazione della sentenza con la quale la Corte d’assise d’appello di Roma ha condannato il suddetto Ciontoli a 5 anni di reclusione per omicidio colposo con colpa cosciente, derubricando il reato (la sentenza di primo grado, invece, aveva stabilito una condanna di 14 anni per omicidio volontario con dolo eventuale).
Questo caso ci dimostra quanto labile possa essere il confine tra dolo eventuale e colpa cosciente.
Come distinguerli?
Come distinguere nel concreto i due istituti? Questo tema ha impegnato e continua ad impegnare il panorama giuridico italiano, per la grande difficoltà nel trovare un’opinione risolutiva in merito. Bisogna partire dal presupposto che, per analizzare l’elemento soggettivo, è necessario studiare sia il momento rappresentativo che l’eventuale momento volitivo (fase che, in generale, ci aiuta a capire se stiamo parlando di colpa o di dolo in quanto la colpa è caratterizzata dall’assenza di volizione).
Per quanto riguarda il momento rappresentativo, la colpa cosciente (o colpa con previsione, ex art. 61 co. 3 c.p.) richiede che il soggetto attivo, pur essendosi rappresentato l’evento (anche in maniera astratta), sottovaluta per leggerezza che esso possa verificarsi o sopravvaluta le sue capacità di poterlo evitare.
La giurisprudenza più recente gioca sulla dicotomia “astrattezza/concretezza” e ha ritenuto che, per il dolo eventuale, non sia sufficiente una rappresentazione astratta dell’evento, bensì la rappresentazione concretadell’evento poi effettivamente realizzatosi (Cass., Sez. V pen., 20 aprile 2017, n. 35585).
Inoltre, ai fini della configurazione del dolo eventuale, il più recente orientamento della giurisprudenza ritiene che il soggetto attivo debba accettare l’evento come risultato del suo comportamento (che sia un’azione o un’omissione); questo a differenza del precedente orientamento che affermava fosse sufficiente anche la sola accettazione del rischio del verificarsi dell’evento.
In una recente pronuncia, la Corte di Cassazione ha ribadito che il criterio distintivo tra le due tipologie di elemento soggettivo è sussumibile nel diverso atteggiamento mentale che il soggetto attivo ha nei confronti della verificazione dell’evento (Cass. pen., Sez. IV, 30 marzo 2018, n. 14663), cioè nell’interpretazione della sfera volitiva dell’agente al momento del fatto.
Motivazioni della Corte
Nel caso in questione, per la Corte d’assise d’appello di Roma, decade il dolo nei confronti di Antonio Ciontoli, perché egli ritardò «consapevolmente e reiteratamente (a confutare questo aspetto, le confuse chiamate al 118) l’attivazione di immediati soccorsi» nell’intento di «evitare conseguenze dannose in ambito lavorativo». Finalità che si pone in contrasto con l’accettazione dell’evento, che avrebbe comportato, oltre che responsabilità maggiori nei confronti dell’imputato, l’emersione di ciò che voleva tenere nascosto (ossia il fatto che avesse sparato).
Per i giudici, l’ex sottufficiale della Marina militare ha mentito «nel tentativo di ridurre di ridurre la portata di responsabilità in quel momento, peraltro, già emerse». Tuttavia, il dolo non può sussistere nemmeno nel suo livello di intensità più lieve, perché Antonio Ciontoli attiva (anche se in ritardo) le richieste di soccorso.
Per questo motivo, non si può parlare di dolo eventuale, ma è necessario parlare di colpa cosciente. La morte del giovane Vannini è stata, purtroppo, causata da un comportamento non diligente e da un intento «odioso e riprovevole», che hanno portato la Corte ad optare per il massimo della pena stabilita per l’omicidio colposo: 5 anni.
Risalto mediatico
Emblematiche le proteste di parenti e amici della vittima alla lettura della sentenza nei riguardi della Corte. Se, da un lato, è possibile immaginare e capire il dolore di una madre, dall’altro è opinabile la reazione che ha avuto una parte dell’opinione pubblica (un esempio sono i vari insulti rivolti ai giudici e alla famiglia Ciontoli sui social network).
L’epilogo di questa storia ci conferma non solo la difficoltà nel distinguere nel caso concreto i suddetti istituti, ma anche quanto sia facile cadere nel giustizialismo dei talk show che eguaglia un’attenuazione della pena ad un’assoluzione.