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La nave vista dall'oblò

Irene Sciarma
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Grazie ad un’iniziativa organizzata nell’ambito del corso di diritto penale, alcuni studenti del terzo anno di giurisprudenza hanno avuto la possibilità di entrare in contatto con la realtà carceraria della casa circondariale di San Vittore a Milano. Innanzitutto, giova fare una precisazione: per casa circondariale si intende il luogo in cui sono detenute persone ancora imputate in giudizio e persone che devono scontare pene inferiori a 5 anni o con un residuo di pena inferiore a 5 anni. Diversamente, invece, il carcere è il luogo in cui i detenuti scontano la pena definitiva.

L’edificio di San Vittore risale al ‘700 ed ha una struttura disposta a raggiera, come fosse un sole, in modo tale che da un solo punto si possano tenere sotto controllo tutti i corridoi. Gli studenti hanno potuto visitare il terzo piano del terzo raggio della struttura del carcere giudiziario: il reparto ospedaliero “la nave”. Questo nome è nato dal fatto che, durante le ristrutturazioni del piano, spesso ci si riferiva al corridoio con espressioni come “a prua” o “a poppa” – ed è subito piaciuta la figura metaforica della nave quale veicolo di traghettamento verso l’uscita dal tunnel della droga e dal sistema carcerario.

Questo settore, inaugurato nel 2002, ospita i detenuti tossicodipendenti a uno stadio avanzato di disintossicazione, i quali vi approdano dopo aver superato, nei due piani sottostanti dello stesso raggio, la fase più acuta della disintossicazione e dopo essere giunti a una consapevolezza della malattia e alla seria volontà di guarire. Il reparto attualmente ospita all’incirca 60 detenuti, i quali sono affiancati ogni giorno da psicologi, assistenti sociali, medici e persone con le quali svolgono attività didattiche e di gruppo, vivendo in condizioni igieniche e sociali migliori rispetto agli altri detenuti della stessa struttura.

I detenuti hanno raccontato agli studenti il percorso che seguono per disintossicarsi nel quotidiano e nel lungo periodo: si approda alla nave una volta superata la fase acuta di disintossicazione e solo dopo aver sottoscritto e accettato un regolamento di responsabilità – scritto dai detenuti insieme a tutti i responsabili della struttura, con il quale ci si impegna a seguire tutte le regole del reparto (per esempio, non fumare, in quanto in tutto il resto della struttura è possibile farlo; non usare il cellulare; non entrare in cella non accompagnato; non usare un linguaggio offensivo e/o volgare;  non rubare il telecomando TV o Hi-Fi; non vandalizzare il reparto), a rispettare tutte le fasi del percorso e a partecipare a tutte le attività che vengono proposte; pena: il fatto di non poter più vivere la propria reclusione in questo reparto, dove le celle sono meno affollate e con più servizi igienici al loro interno.

Una volta entrati nel raggio si viene assegnati ad un detenuto tutor, il quale ha il compito di affiancare il nuovo arrivato per aiutarlo a capire le nuove regole e ad ambientarsi; colpisce come coloro che seguono questo percorso cerchino tutti di mettere impegno nel seguire le regole e nell’aiutarsi reciprocamente a farlo.

La giornata tipo di un detenuto inizia la mattina alle 9 quando vengono aperte le celle e si conclude con la loro chiusura alle ore 21; durante la giornata, le porte delle celle restano quindi aperte proprio in virtù dell’impegno di responsabilità assunto firmando il regolamento e si svolgono varie attività come lezioni di legalità, di musica e riunioni di gruppo con psicologi e assistenti sociali; pranzi e cene possono essere richiesti al servizio mensa oppure, il che è reputato preferibile, possono essere cucinati dai detenuti stessi all’interno delle proprie celle. In questo senso, pertanto, proprio per riabituare le persone alla vita all’esterno e per renderle autonome, nelle celle possono essere utilizzati fornelletti a gas e, una volta a settimana, viene portata una spesa di alimentari freschi e generi di prima necessità; in tal modo, si vuole mantenere una quotidianità che potrà aiutare i detenuti, una volta usciti dal sistema carcerario, a riprendere una vita il più normale possibile in breve tempo.

Gli studenti hanno avuto, infine, la possibilità di avere un momento di confronto con i detenuti sul tema della legalità e hanno potuto ascoltare dalla loro voce le loro esperienze e i loro racconti e cosa loro pensano riguardo a questo argomento e ad altri, ma per chi non ha questa opportunità, esiste “l’oblò”.

I detenuti, infatti, hanno raccontato che ogni mese, supervisionati e aiutati da giornalisti professionisti, si impegnano per pubblicare online una sorta di “giornale della nave”, sul quale chi di loro lo desidera può raccontare la propria storia o la propria esperienza nel carcere attraverso degli articoli; questa iniziativa rende i detenuti molto fieri perché sentono così di essere ascoltati e di aver la possibilità di condividere qualcosa sentendo di essere in grado di ricostruire se stessi senza dover fare uso di droghe.

Quando gli studenti sono stati sul punto di congedarsi dai detenuti l’invito rivolto loro da questi ultimi è stato quello di raccontare all’esterno la loro iniziativa e di far conoscere la realtà dell’oblò per far in modo che sempre più persone lo leggano e conoscano le storie di chi a volte, pur consapevole di aver sbagliato, si sente dimenticato.

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