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La riforma e le modifiche dell’articolo 52 del codice penale

Ilaria Giovannelli
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Lo scorso 28 marzo, il Senato ha approvato in via definitiva il disegno di legge recante “Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa” e pochi giorni fa, sotto le festività pasquali, il Presidente della Repubblica ha provveduto a promulgarla – seppur non senza qualche doverosa puntualizzazione – rendendola così legge dello stato.

La riforma da un lato estende i margini dell’impunità di chi si difende all’interno del domicilio e dall’altro rafforza la risposta punitiva ad una serie di reati che proprio nel domicilio (al quale la legge, per i propri fini, equipara ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale) si consumano: violazione di domicilio, furto in abitazione, rapina.

Giova pertanto preliminarmente sottolineare che fuori dall’ipotesi della legittima difesa nel domicilio i presupposti e i requisiti della scriminante restano quelli dell’art. 52 c.p.: pericolo attuale di un’offesa ingiusta per un diritto proprio o altrui e rispetto dei criteri di necessità e proporzionalità.

Ad ogni modo, seppur relegata al solo ambito della difesa all’interno del domicilio, la riforma non è affatto di scarsa portata mediatica e tantomeno giuridica avendo come idea di fondo quella di dare attuazione legislativa allo slogan politico, tante volte ascoltato e detto, che recita “la difesa è sempre legittima”. La propaganda politica, poi riversatasi nella riforma, è evidente tenti di accordare un più elevato grado di tutela alla vittima nonostante il fatto che, nel peculiare schema della legittima difesa, vesta i panni di autrice di un’azione difensiva verso l’aggressore (che ne diventa così l’aggredito) renda il terreno legislativo particolarmente scivoloso.

Nella persecuzione di tale idea, il legislatore agisce in primo luogo sullo stesso art. 52 c.p. con l’introduzione di una sola parola, “sempre”: “Nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma (ossia nei casi di violazione di domicilio), sussiste sempre il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:

a) la propria o la altrui incolumità:
b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione.”

L’aggiunta della dicitura “sempre” non è affatto di poco conto poiché intende privare il giudice di uno spazio di apprezzabilità concreta della effettiva proporzionalità tra difesa ed offesa, ribaltando dunque una consolidata giurisprudenza della Cassazione che, dando una lettura conforme al dettato costituzionale, aveva invece superato la rigida presunzione di proporzionalità (ora incisa su pietra con la dicitura “sempre”) ribadendo l’ordine e il rapporto di rango tra i beni costituzionali, rispettivamente facenti capo all’aggredito e all’aggressore.

Di portata ancora più dirompente, è l’introduzione di un quarto comma all’art. 52 che aggiunge “nei casi di cui al secondo e terzo comma (ossia nei casi in cui è invocabile la suddetta presunzione di proporzione) agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone”.

 

Pare evidente come il legislatore abbia introdotto una sorta di presunzione di legittima difesa quando si tratta di difesa in luogo di domicilio. Non solo dunque, come già aveva tentato la riforma del 2006, si ritiene presunto il requisito della proporzionalità ma si arriva a presumere anche gli altri requisiti propri dell’istituto (attualità del pericolo e necessità della difesa).

Lo spazio lasciato all’apprezzamento del giudice ne risulta inevitabilmente eroso, dovendosi questi limitare ad accertare che il fatto (le lesioni, l’omicidio ecc.) sia stato commesso in seguito ad una intrusione nel domicilio posta in essere “con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica”.

Ciò comporta che se l’intrusione nel domicilio è violenta (qui bisognerebbe chiedersi se sia sufficiente la violenza sulle cose, come l’aver forzato una finestra) la legittima difesa potrà essere invocata anche senza bisogno di soffermarsi sul requisito della necessità della difesa stessa. Volendo fare un esempio pratico, ritenendo presunta ex lege la sussistenza del requisito della necessità, si potrebbe affermare legittima una difesa per la quale colui che si difende uccida con un’arma da fuoco (purché legittimamente detenuta) un giovanissimo ladro che si sia introdotto in casa sua brandendo solo i suoi pugni.

Casi come questo in esempio in cui il diritto alla vita del ladro viene calpestato dalla legge in ragione della sua stessa qualità di intruso in domicilio altrui mostrano, e questo è inevitabile, profili di frizione con il dettato costituzionale e con la CEDU (art. 2 co. 2, lett. a) che impone, quantomeno in caso di uccisione, l’assoluta necessità del ricorso alla forza usata per difendersi dall’aggressione illegale.

Le modifiche all’articolo 55 c.p.: l’eccesso colposo

L’altra grande novità della riforma sta nell’aver modificato anche la disciplina dell’eccesso colposo di legittima difesa, come causa di giustificazione, ai sensi dell’art. 55 c.p.

Si ha un eccesso colposo di legittima difesa quando si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o imposti dalla necessità ed in tal caso a tale condotta verranno applicate le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo. Dunque si configura un eccesso colposo di legittima difesa quando, in ragione di un errore – commesso con colpa – nella valutazione della situazione (il soggetto vede nelle mani dell’aggressore una pistola che non c’è) o nell’esecuzione della condotta (il soggetto intende sparare senza mirare all’aggressore, al solo scopo di spaventarlo, ed invece lo colpisce) si eccedano i limiti della legittimità della difesa.

Alla luce di ciò si comprendono i profili di novità introdotti dalla riforma che sancisce:

“Dopo il primo comma dell’articolo 55 del codice penale è aggiunto il seguente: «Nei casi di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell’articolo 52, la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all’articolo 61, primo comma, numero 5), ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto”.

La portata di tale aggiunta all’art. 55 pare essere massima con riguardo in particolare al nuovo quarto comma dell’art. 52. Infatti, nei casi di cui al secondo comma valgono ancora i requisiti ordinari della legittima, eccezion fatta per la presunzione di proporzionalità, permettendo quindi di ritagliare un qualche spazio all’eccesso colposo dei limiti succitati.

Diversamente, essendo questi limiti venuti meno per le condotte previste nel quarto comma, nei casi ivi preveduti pare molto difficile ritagliare uno spazio di operatività alla disciplina dell’eccesso colposo. Permane tuttavia, laddove il fatto sia commesso con dolo, la possibilità di postulare un eccesso doloso.

Il nuovo secondo comma dell’art. 55 prevede poi una esenzione da responsabilità penale nei casi di eccesso colposo nella difesa commesso per salvaguardare la propria o altrui incolumità. Tale esenzione è legata a due diverse situazioni, tra di loro alternative, in cui si deve trovare l’agente: una minorata difesa ex art. 61, co. 1, n. 5 c.p. ovvero un grave turbamento psichico derivante dalla situazione di pericolo in atto.

Nel caso della minorata difesa dunque, per esentare colui che si sia difeso da responsabilità penale per averla colpevolmente ecceduta, è necessario che il giudice accerti che l’aggressore abbia “profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa” e il nesso eziologico tra la situazione di minorata difesa e l’eccesso di difesa.

Per quanto concerne l’aver agito in stato di grave turbamento, il giudice dovrebbe in tal caso accertare che il turbamento sia stato al tempo stesso effetto derivante dalla situazione di pericolo in atto e causa rispetto all’eccesso di difesa. Il turbamento deve poi essere “grave”. Tale requisito della gravità pare tuttavia concretamente molto indeterminato se non altro se si considera che, oltre ad essere di difficile determinazione, pare complesso sostenere l’assenza di un certo grado di turbamento nel soggetto che subisce un’aggressione.

L’inasprimento delle pene per la violazione di domicilio, il furto e la rapina

La nuova legge si occupa anche di inasprire le pene per un’ampia una platea di reati.

Con riguardo alla violazione di domicilio (art. 614 c.p.) la nuova forbice sanzionatoria prevista diventa la reclusione da uno a quattro anni, anziché la precedente da sei mesi a tre anni.

La reclusione, invece, diventa da due a sei anni (non più da uno a cinque anni) se il fatto è commesso con violenza sulle cose o alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato.

Per il furto in abitazione e il furto con strappo (624-bis c.p.), invece, la sanzione prevista (oltre alla multa da 927 euro a 1.500 euro) diventa la reclusione da quattro a sette anni, in luogo della soglia da tre a sei anni. Se il reato è aggravato dalle circostanze previste dagli artt. 61 e 625, comma 1, c.p., inoltre, si rischia la reclusione da 5 a 10 anni (anziché 4-10 anni) e la multa da 1.000 a 2.500 euro (anziché da 927 a 2.000 euro).

Inoltre, modificando l’art. 165 c.p., è previsto che per il reato di cui all’art. 624-bis c.p. la sospensione condizionale della pena sia comunque subordinata al pagamento integrale dell’importo dovuto per il risarcimento del danno alla persona offesa.

Pene più severe anche per il reato di rapina: resta invariato il massimo edittale (10 anni), mentre il minimo passa da 4 a 5 anni di reclusione. Sono ritoccate in peius anche le pene per la rapina aggravata: il minimo passa da 5 a 6 anni di reclusione, invariato il massimo (20 anni). Più pesante anche la multa, che passa da 2000 euro di minimo (anziché 1290) fino a massimo 4000 euro (anziché 3098).

L’esclusione della responsabilità civile

Il provvedimento interviene anche sui riflessi civilistici della legittima difesa, così da evitare che colui che agisce nella propria abitazione per difendere se o altri sia responsabile del danno cagionato.

L’art. 2044 c.c., come modificato dalla nuova legge, stabilisce che la responsabilità di ha compiuto il fatto sia esclusa nei casi di cui all’art. 52 c.p., commi secondo, terzo e l’aggiunto quarto.

Nei casi di eccesso colposo di colui che ha commesso il fatto per salvaguardare la propria o altrui incolumità, invece, sarà dovuta al danneggiato un’indennità la cui misura è rimessa all’equo apprezzamento del giudice, che dovrà però tenere conto conto della gravità, delle modalità realizzative e del contributo causale della condotta posta in essere dal danneggiato stesso.

Gratuito patrocinio per chi si difende legittimamente

Il provvedimento interviene anche in materia di spese di giustizia inserendo nel Testo Unico delle spese di giustizia l’art. 115-bis. La norma estende il gratuito patrocinio alla persona nei cui confronti si procede penalmente, per fatti commessi in condizioni di legittima difesa o eccesso colposo “domiciliare” (ex art. 52, commi secondo, terzo e quarto, c.p. come modificati), ma in favore del quale è disposta l’archiviazione o sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento perché il fatto non costituisce reato.

Ultime riflessioni

A chiusura di questa breve ed assolutamente non esaustiva analisi della neonata riforma dell’istituto della legittima difesa ritengo necessario dare rilievo ad un ulteriore profilo, quello degli effetti propagandistici e culturali che l’hanno accompagnata.

Ad una disamina puramente culturale del fenomeno, risulta evidente come la “nuova” legittima difesa spinga verso un’idea disumanizzate del criminale la cui stessa vita non vale quanto quella di un “cittadino onesto”. Il rischio è dunque quello di perdere di vista il fatto che la vita, anche quella di un delinquente, conta e deve essere tutelata dagli eccessi e dalle lesioni che altri, per quanto “onesti”, possono arrecargli.

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