Uno sguardo alla proposta di riforma della prescrizione
Vittoria Boselli
Si è molto discusso in queste ultime settimane, sia nell’agone politico che in quello della dottrina penalistica, della riforma della prescrizione, che è stata proposta da alcuni parlamentari del Movimento 5 Stelle nella veste di emendamento al disegno di legge di modifica della disciplina dei reati contro la Pubblica amministrazione (c.d. “Ddl Spazza-corrotti”).
L’istituto della prescrizione determina l’estinzione di un reato a seguito del trascorrere di un periodo di tempo stabilito dalla legge, la cui ratio viene tradizionalmente rinvenuta nel venir meno dell’interesse dello Stato a punire la condotta criminosa, che diventa, infatti, non più perseguibile penalmente. Secondo l’attuale disciplina prevista dall’art. 157 c.p., ciascun reato presenta un proprio “termine-base” di prescrizione, il quale coincide con la pena edittale massima prevista dalla fattispecie incriminatrice, senza tener conto dell’effetto delle circostanze attenuanti o aggravanti (salvo però che queste ultime siano autonome oppure ad effetto speciale) e con il limite minimo di sei anni per i delitti e di quattro anni per le contravvenzioni. Dal momento che la base di calcolo è la pena massima, per i delitti che prevedono l’ergastolo, in questo caso anche per effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti (art. 157 u.c. c.p.), non interviene mai l’istituto in oggetto. Gli artt. 160 e 161 c.p. (la cui disciplina ha subito una significativa modifica nel 2017 con la c.d. Riforma Orlando) prevedono poi che il corso della prescrizione venga interrotto da parte di alcuni atti processuali (come le ordinanze di arresto o le sentenze di condanna), con un aumento non superiore ad un quarto rispetto al termine originariamente previsto.
La proposta di riforma del M5s
Il testo dell’emendamento propone di sospendere il corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, indipendentemente dal fatto che sia di condanna ovvero di assoluzione del soggetto imputato. Nel nostro paese circa il 10 per cento dei procedimenti finisce oggi in prescrizione, un dato in calo rispetto al massimo raggiunto nel 2004, quando se ne prescrissero quasi il 15 per cento, ma in aumento rispetto al 2012, anno in cui subì tale esito il 7.8 per cento. Secondo gli ultimi dati resi disponibili dall’Ansa, che risalgono però al 2014, i processi per i cosiddetti “reati dei colletti bianchi” – quelli di funzionari della p.a., imprenditori, amministratori di società – cadono, in media, in prescrizione con maggior frequenza rispetto agli altri (12.5 per cento dei procedimenti per reati contro la p.a. e 13.2 per quelli aventi ad oggetto reati societari). Il dato più interessante è, però, che la prescrizione interviene, con riguardo alla stragrande maggioranza dei casi, nel corso delle indagini preliminari, sia perché queste si estendono per un lasso temporale troppo esteso, sia perché le pratiche rimangono a lungo non seguite, dato che spesso i magistrati sono impegnati in altri casi o non vi è una sufficiente e adeguata organizzazione per farvi fronte (circa il 70 per cento del totale dei processi prescritti non giungono, infatti, alla fase processuale).
Incostituzionalità?
Trattandosi di un istituto del diritto penale sostanziale, sorge spontaneo chiedersi se tale proposta di modifica sia rispettosa delle fondamentali garanzie sancite dalla nostra Costituzione, in primo luogo del principio di legalità di cui all’art. 27 Cost. Questo è parimenti conosciuto come nullum crimen sine lege: si stabilisce il principio di irretroattività in malam partem delle previsioni penali. In particolare, nel diritto penale sussiste l’irretroattività per le disposizioni modificate in pejus e la
retroattività per quelle che risultano portare dei benefici per i destinatari. Sicuramente nel caso di specie si può parlare di una condizione peggiorativa per gli interessati, dal momento che la possibilità di fare affidamento sulla prescrizione viene meno, durante la fase processuale. Sembra però che sia stata trovata una soluzione “di compromesso” in proposito: il Governo ha infatti convenuto di posticipare l’entrata in vigore dell’emendamento in questione, nel caso in cui verrà definitivamente approvato dalle Camere, a inizio gennaio 2020, così che potrà trovare applicazione soltanto per i reati commessi dopo tale data. Nel nostro ordinamento viene tutelato, al secondo comma dell’art. 111 cost., il diritto dell’imputato ad una ragionevole durata del processo. Dal momento che, in base alla nuova previsione dei termini di prescrizione, l’interessato non sarebbe più in grado di calcolare, al momento della commissione del fatto, i tempi necessari affinché intervenga la prescrizione, potrebbe sussistere una incompatibilità costituzionale fra quanto previsto dalla riforma e uno dei principi fondamentali del giusto processo.
Le posizioni in gioco
Ci sono state varie contro-proposte da parte degli esperti in materia, in modo da poter meglio bilanciare i diritti delle parti in gioco. Un eventuale punto di equilibrio tra pretesa punitiva dello stato e garanzie è stato suggerito dall’Associazione nazionale magistrati (Anm): prevedere che l’interruzione si abbia solo dopo l’emissione della sentenza di condanna e non anche per quella di assoluzione. Questa proposta è stata tuttavia aspramente criticata dagli avvocati penalisti, i quali la vedono come un’ingerenza inaccettabile nel processo legislativo dei magistrati.
Per quanto riguarda le varie forze politiche, il Movimento 5 Stelle, in quanto padrino della riforma, ha ritenuto necessario intervenire sul regime della prescrizione, al fine di dar vita ad un compiuto decreto anticorruzione. Tuttavia, non sembra che i promotori abbiano il pieno appoggio da parte della Lega: alcuni esponenti di questo partito, infatti, si sono espressi criticamente circa l’attuale formulazione della nuova legge, in quanto si discosta dal contratto di Governo.
Interessante è la posizione del Partito Democratico: in molti insorgono per il rischio di incostituzionalità. Tuttavia, non in pochi hanno ricordato ai renziani che loro stessi, quando erano al governo, paventavano una riforma che raggiungesse simili risultati. Questa eventualità si era poi tradotta in quanto previsto dalla Riforma Orlando, che, a detta dei sostenitori di centro-sinistra, è riuscita a trovare un equilibrio tra la ragionevole durata del processo, l’efficienza della risposta della giustizia penale e le garanzie processuali delle parti.
Forza Italia ha invece tentato la via dell’appello alla Lega per fermare il ministro Bonafede, con toni molto forti e catastrofici, arrivando ad affermare che altrimenti “sarà complice dell’omicidio del processo penale”.
Lo scorso 19 novembre si è tenuto al Ministero della Giustizia un tavolo per studiare un disegno di legge in materia di riforma della prescrizione. Attendiamo, quindi, il risultato legislativo prima di poter esprimere un parere conclusivo, che sia di condanna o di approvazione.