Chiesa e Mafia: Riflessioni di un rapporto antico, complesso e contraddittorio. La fine di una ambiguità?
Enrico Di Franco
''Per amore del mio popolo non tacerò''.
Il 21 marzo si è celebrata la XXV Giornata della Memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. La giornata si celebra fin dal 1996, su iniziativa dell’Associazione Libera di don Ciotti, che aderì all’appello della mamma di Antonio Montinaro – agente di Polizia ucciso a Capaci nell’attentato di Cosa Nostra al giudice Falcone – di non chiamare quelle vittime genericamente “scorta” e di riconoscere l’identità di ciascuno di loro. Da allora, ogni anno viene scelta una diversa città italiana dove si riuniscono le istituzioni civili e militari, le forze sociali, il volontariato e la gente comune in una manifestazione di ricordo, di condanna e di affermazione di valori.
Il primo marzo del 2017, la Camera dei Deputati ha istituito e riconosciuto il 21 marzo quale “Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime di mafia”.
Il tema è molto antico. Del resto, la relazione Chiesa-Mafia affonda le proprie radici storiche già all’epoca dell’Unità d’Italia, quando la Chiesa guardava con ostilità alle organizzazioni criminali, mafia inclusa, poiché considerate come il prodotto di una ostilità statale e istituzionale nei confronti della Chiesa. Occorre fare un altro passo indietro, e sottolineare come i rapporti tra la Chiesa di quegli anni e quello Stato- unitario fossero già incrinati a causa della minaccia istituzionale nei confronti degli interessi ecclesiastici.
L’Unità d’Italia fu un evento storico pesante per l’Istituzione Cattolica, poiché diede avvio a un periodo di desacralizzazione e di secolarizzazione della società. L’akmè di questa acredine, ad avviso di chi scrive, è lampante nel cosiddetto “Non Expedit”, con cui nel 1868 la Santa Sede vietò ai cattolici non solo la militanza politica all’interno delle organizzazioni partitiche, ma pose persino il “divieto” di votare alle tornate elettorali, con importanti ripercussioni successive. Il “Non Expedit” venne abrogato solamente al termine della Grande Guerra, sia per tendere una mano allo Stato e dimostrare un sentimento di patriottismo, sia per lanciare il nuovo Partito Popolare Italiano, espressione politica dei cattolici.
Il rapporto, però, rimase critico e lacerato. La Chiesa additava lo Stato per averle sottratto il ruolo pubblico che questa rivestiva, lasciando a quest’ultimo tutti i problemi di ordine pubblico e quelli che potremmo chiamare “problemi sociali”: tra questi, anche la Mafia.
Il silenzio iniziale della Chiesa è quindi imputabile a queste ragioni storiche, di cui la letteratura è ricca di spunti e avvenimenti dai quali poter attingere.
La Mafia si trovava tra due litiganti, e si sa, il terzo ne beneficia. Per essere accettata sia dalla popolazione (soprattutto nel Meridione, dove la questione aveva avuto più presa) che dalle istituzioni, iniziò a vestire abiti talari e spillette partitiche. Iniziando così a fomentare, sempre in maniera più forte, il dissenso tra le parti.
Con il passare degli anni, la malavita cresceva e diventava sempre più presente e potente negli apparati. Si aggiungano a questi eventi anche la Seconda Guerra Mondiale e la seguente narrazione di uno Stato incapace di resistere alla degenerazione del sistema in dittatura.
Tuttavia, la situazione post-bellica si rivelò profondamente mutata. Il nemico comune era il comunismo. Nacque la Democrazia Cristiana che si pose come argine ai sovietici, avvertiti come pericolo più urgente e concreto. Si verificarono così vere e proprie collusioni con la criminalità organizzata, anche a causa della radicalizzazione della stessa. Nei piccoli paesi del Meridione, clero e mafia quasi coincidevano (molti erano i casi di parentela tra clero e mondo delinquente, così come quelli in cui i sacramenti venivano utilizzati per rafforzare il potere delle famiglie).
Negli anni ‘60 la Chiesa iniziò a prendere posizione e cercò di epurare qualsiasi forma di criminalità. Erano gli anni della manifestata violenza, gli anni del contrabbando, gli anni del narcotraffico e della corruzione spinta. L’incremento del numero dei reati iniziò a far aprire gli occhi al clero, che ebbe per la prima volta una visione di quanto stava accadendo. Una visione, però, non d’insieme, e questo costituì sempre il nodo del problema. Non si comprese mai la grandezza e la radicalità dell’apparato mafioso.
La svolta non potè che avvenire negli anni ’80, quando arrivò il periodo degli omicidi eccellenti. La Chiesa cominciò a percepire pienamente la portata della questione. Il cardinale Salvatore Pappalardo, durante la funzione funeraria del generale Dalla Chiesa, al grido di “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur” (“Mentre Roma discute, Sagunto è espugnata”, frase volta a esortare una maggiore vigilanza e presenza dello Stato) diede inizio a quell’evoluzione che porterà al discorso di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi di Agrigento: «Dio ha detto una volta: non uccidere. Non può l’uomo, qualsiasi uomo, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. Nel nome di Cristo, mi rivolgo ai responsabili: convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio!»
Urge una precisazione metodologica, anche se ci accingiamo al termine della riflessione. Non è un elaborato volto a denunciare il ‘nascondere la polvere sotto il tappeto’ da parte del clero. Questo non vale solo per i preti, ma anche per i rappresentanti delle istituzioni. In quegli anni l’uomo mafioso era parte del tessuto sociale ed era riconosciuto, quindi doveva essere cattolico. Come poteva integrarsi un non cattolico nella società italiana degli anni ’60?
Con Giovanni Paolo II arriva la svolta definitiva. Il Papa condanna tutto, come un Papa sa fare, ossia come guida spirituale e non come procuratore. Giovanni Paolo II non solo condanna la Mafia, ma invita alla conversione. Non sarà sufficiente il non uccidere più, servirà il non essere più “uno di loro”.
Fu così che la Mafia arrivò a colpire anche il clero con Don Puglisi, Don Diana, Don Muntoni e molti altri. Dei martiri religiosi dobbiamo comprendere e parlarne. Sempre.
Se Don Puglisi è stato riconosciuto martire, secondo il diritto canonico, in odium fidei, cioè per odio contro la Fede, contro il Credo, qui non è così. Don Puglisi non è stato ucciso per un segno di croce in pubblico, ma per aver posto giovani braccia al riparo dall’uso e abuso delle mafie, in odium iustitiae.
Tra i Leoni è il giornale della comunità Bocconiana, e vorrei approfittarne per ringraziare pubblicamente, nel mio piccolo, le associazioni BSOC – Bocconi Students against Organized Crime e Keiron – la casa dei penalisti per aver contribuito, a nome di tutti, all’iniziativa di Wikimafia e Libera attraverso il ricordo di personalità che hanno visto la propria vita cedere sotto i colpi delle armi della criminalità organizzata. Molti dei pensieri sono stati indirizzati verso personalità appartenenti al clero, tra tutti don Dino Puglisi e don Giuseppe Diana. Questo mi ha portato ad approfondire il rapporto tra Chiesa e Mafia.