Criminali si nasce o si diventa?
Enrico Cassaro
Una visione d’insieme
Dal primo giorno di lezione all’università, siamo abituati a sentirci ripetere che il diritto è una materia interdisciplinare. Non si possono, ormai, trattare questioni di diritto senza aver conoscenza delle nozioni base di economia; così come non si può studiare una disposizione di legge senza conoscere, quantomeno, il periodo storico in cui essa sia stata emanata.
Anche il diritto penale non può prescindere dall’interdisciplinarità: gli studi di psicologia, sociologia e neurologia ci possono, senza dubbio, aiutare a studiare e capire, in particolare, il perché un uomo commette un reato. Così, nasce (e si sta sviluppando sempre più) la criminologia, una scienza che studia i comportamenti criminali, il reo e la condotta socialmente deviante.
Per la nostra analisi, non possiamo che affrontare l’illecito per eccellenza: l’omicidio. Perché un uomo uccide? Cosa scatta nella sua mente al momento della consumazione del reato? Quale pulsione si impadronisce di lui, fino al punto da spingerlo a sopprimere un proprio simile? Probabilmente, questi interrogativi appaiono, ai più, di difficile risposta. Tuttavia, non mancano gli studiosi che, già a partire dal diciannovesimo secolo, provavano a rispondere a queste domande; così come non mancano gli studi di specialisti, psichiatri forensi e investigatori che, oggi, cercano di delineare quelle che sono le principali cause, patologie e perversioni che scatenano questa follia omicida.
Indagine ex ante
Inizialmente, gli scienziati correlavano il comportamento violento ad anomalie fisiche congenite tanto da ipotizzare delle relazioni con traumi cranici, con lesioni del cervello durante lo sviluppo e con un cattivo funzionamento del sistema limbico. Uno dei maggiori esponenti di tale pensiero fu Cesare Lombroso che nel suo scritto più famoso, “L’Uomo Delinquente” (1876), instaura una relazione di causa-effetto tra le caratteristiche anatomiche e fisiologiche dell’uomo e il comportamento criminale. Il criminale è tale per nascita: è una persona fisicamente differente dall’uomo normale; ha narici piatte, capelli spessi e orecchie grandi.
Oggi le teorie lombrosiane sono state (ovviamente) del tutto abbandonate. Per capire le motivazioni che spingono un individuo a commettere reati gravi, non possiamo che analizzare innanzitutto la sua psiche e il contesto sociale in cui lo stesso è inserito. In una società dove le notizie di cronaca riguardanti omicidi e femminicidi sono ormai all’ordine del giorno, l’analisi dell’infanzia e dell’adolescenza di tali individui sono ottimi punti di partenza per lo studio, da parte di psicologi e criminologi forensi, delle diverse personalità criminali.
Ma la scienza non si è fermata. L’obiettivo non può (e non deve) essere esclusivamente quello di studiare, ex post, le possibili cause di un omicidio, per poi ritrovarle nel brutto passato del colpevole; l’analisi deve partire ex ante, ricercando quelle figure sintomatiche (isolamento sociale, abbandono, scarsa comunicazione, abuso infantile) utili ad attuare strategie preventive per poter agire in maniera specifica su quel disturbo dell’anima di tali individui, così da evitare che possano uccidere mogli, figlie o vittime innocenti (o, comunque, ridurre la possibilità di recidiva).
I criminali sono malati?
Tuttavia, parliamoci chiaro: nel 2020 poco è cambiato. Le pagine dei giornali raccontano, quotidianamente, di fatti terribili avvenuti nelle nostre case: non possiamo rimanere passivi di fronte a descrizioni di omicidi lucidamente pianificati e perpetrati con eccezionale crudeltà, senza alcun serio motivo scatenante, con l’uso di armi e mezzi micidiali. Omicidi frutto della rabbia e dell’invidia nei confronti dei propri simili, privati della loro vita senza provare un minimo senso di compassione e di pietà.
Di conseguenza, spetta alla nostra società trovare una spiegazione a tali azioni. Nel 2020, non è giusto che tutti i comportamenti che non riusciamo a spiegare vengano giustificati con una patologia: un omicida non è per forza uno psicopatico. Esiste la possibilità che una persona affetta da disturbi mentali possa commettere un determinato reato? Si, ma ciò non è mai la regola: spesso, infatti, una persona uccide per futili motivi e, nonostante le numerose prove psicologiche portate avanti dalla difesa, lo fa senza presentare alcun disturbo.
Molti di questi crimini vengono commessi per puro piacere del male: perché come ci sono persone buone, ne esistono molte altre cattive, che si comportano di conseguenza. Ma, altrettanti crimini vengono commessi a causa di emozioni e passioni che si provano al momento della consumazione: perché, come diceva Freud, nella personalità di ogni individuo c’è un lato nascosto, oscuro, normalmente represso che, se liberato, ci trasforma in criminali, in crudeli assassini e pericolosi delinquenti.
Potenziali vittime e possibili assassini
I risultati conoscitivi raggiunti oggi non possono soddisfarci; la figura dell’assassino inquieta e turba la coscienza della gente comune e ciò deve spingere le diverse figure professionali attive in questo settore a continuare ad approfondire la conoscenza dell’inquietante fenomeno dell’omicidio, ponendo maggiore attenzione all’analisi del “lato oscuro della mente” per la tutela di ogni essere umano e della comunità.
L’approccio per la prevenzione può essere di tre tipi: universale, attraverso interventi da attuarsi per l’intera popolazione; selettivo, rivolgendosi a quei sottogruppi di popolazione il cui rischio di sviluppare un qualsiasi disturbo risulta significativamente maggiore rispetto alla media; mirato, identificando gli individui da considerare più vulnerabili e ad alto rischio.
Tuttavia, a mio parere, si può contrastare il fenomeno criminale solo attraverso la promozione della cultura della vita e della cultura dei valori, ricordandosi che ciascuno di noi è potenziale vittima ma anche, di certo, possibile assassino.