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Armi elettriche e diritto: un equilibrio ancora precario.

Maria Vittoria Zovatto
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Con il termine “taser” si usa definire quell’arma i cui dardi sono in grado di immobilizzare il bersaglio, poiché legati al dispositivo con fili elettrici che trasmettono una scarica ad alta tensione e basso amperaggio. La scarica dura per tutto il tempo in cui l’operatore tiene premuto il grilletto, provocando contrazioni muscolari e sovraccarico del sistema nervoso: il destinatario viene, dunque, immobilizzato e reso inoffensivo.
I primi a ricorrere alle armi elettriche furono, sul finire degli anni ’60 del secolo scorso, gli Stati Uniti d’America. L’impiego di queste ultime fu, tuttavia, modesto perché il taser non solo era stato inserito nella categoria delle armi pericolose, ma era anche stato classificato come un’arma da fuoco vera e propria.
Solo nel 1993 la Taser International introdusse un nuovo modello di taser, basato, questa volta, sull’utilizzo dell’azoto compresso e non più della polvere da sparo. Ciò permise la fuoriuscita del taser dalla categoria delle armi da sparo e, nel contempo, una crescita esponenziale del suo utilizzo da parte delle forze di polizia.
Quando iniziarono a diffondersi negli USA, le armi elettriche vennero, non a caso, inquadrate tra le armi non letali e definite come mezzi che avrebbero consentito di ridurre il numero delle morti e il ricorso alle armi da fuoco.

Non tutti gli ostacoli inerenti all’utilizzo del taser sono stati superati col tempo.
Alcuni limiti si rinvengono nel fatto che la polizia farebbe non di rado ricorso a questo strumento con una certa leggerezza e, dunque, nel fatto che la diffusione delle armi elettriche avrebbe implicitamente determinato un aumento dell’uso della forza da parte della polizia.
Inoltre, secondo parte della dottrina, il taser potrebbe essere anche concausa o fattore che contribuisce alla morte dei soggetti destinatari delle scosse. In verità, secondo alcuni studi condotti da Università americane, il taser sarebbe innocuo se utilizzato rispettandone le istruzioni d’uso e contro persone in buono stato di salute. Si potrebbero, al contrario, riscontrare degli effetti letali del medesimo qualora fosse impiegato nei confronti delle categorie “vulnerabili” della popolazione, ossia minori, anziani, malati di cuore o di mente e persone che soffrono di dipendenze varie.
Il vero problema è che la polizia non è sempre nelle condizioni di poter verificare ex ante lo stato psico-fisico di chi intende bloccare, potendo in questo modo valutare se ricorrere a questo tipo di arma o meno.
Inoltre, negli Stati Uniti la polizia può godere della qualified immunity, ossia dell’immunità qualificata che tutela da iniziative giudiziarie coloro che abbiano agito in nome e per conto dello Stato, qualora non siano stati violati diritti costituzionali o leggi federali.
Questo genere di immunità conduce al necessario e inevitabile bilanciamento di due interessi contrapposti: da un lato, quello di responsabilizzare i funzionari pubblici nell’esercizio del potere e, dall’altro, la necessità di proteggere gli stessi funzionari da responsabilità quando svolgono i propri compiti in maniera ragionevole. La ponderazione riguarda dunque la tipologia e la quantità dell’utilizzo della forza da parte della polizia, nonché l’interesse pubblico in gioco.
La giurisprudenza statunitense ha ribadito molteplici volte che non vi è alcuna possibilità di fare affidamento su attendibili ricostruzioni scientifiche che permettano di collegare certi risultati all’impiego dell’arma elettrica. In assenza di test scientifici incontrovertibili, difficilmente vi potranno essere evoluzioni sullo stato attuale delle cose.

Per quanto riguarda il continente europeo, l’esperienza dell’impiego di armi elettriche da parte delle forze di polizia è certamente più recente.
Significative sono state, in merito, le decisioni della Corte di Strasburgo.
La Corte Europea ha più volte concluso che, se indispensabile e non eccessivo, l’uso della forza è legittimo e non viola l’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani. Tale norma proibisce in maniera assoluta la tortura e ogni forma di trattamento inumano e degradante; questa garanzia convenzionale non ammette alcun tipo di deroga – nemmeno nel nome della lotta al terrorismo ed alla criminalità organizzata – e la sua applicazione va assicurata in qualsiasi situazione.
È evidente che il punto fondamentale di questo dibattito consista nel trovare un equo bilanciamento tra due interessi contrapposti: il ricorso della forza a salvaguardia di altri interessi in gioco da parte degli Stati e la tutela dell’incolumità pubblica dei cittadini. Il giusto equilibrio sarebbe assicurato, per i giudici di Strasburgo, in tutti quei casi in cui l’uso della forza sia necessario e proporzionato, ossia adeguato alla minaccia da fronteggiare.

La riflessione sul taser non può prescindere da una valutazione dell’impatto che esso può avere sulla libertà personale, e questo, fondamentalmente, per due ordini di ragioni: le armi elettriche, innanzitutto, si traducono in una limitazione di libertà, avendo come effetto quello di immobilizzare il bersaglio e, inoltre, a esse la polizia fa ricorso quando deve procedere all’arresto o al fermo di indiziati di reato, ovvero dare esecuzione ad una misura cautelare.

Per quanto concerne l’Italia, il primo passo al fine dell’introduzione delle armi elettriche nel nostro ordinamento si deve all’art. 8 comma 1-bis del d.l. 22 agosto 2014, n. 119, convertito nella legge n. 146 del 2014, che ha affidato a un decreto del Ministro dell’Interno l’avvio della sperimentazione della pistola elettrica taser, riferimento successivamente eliminato in favore della più generica espressione “arma comune ad impulsi elettrici”.
Con un decreto del Ministro dell’Interno risalente al marzo 2015 è stato, inoltre, istituito un Tavolo tecnico interforze presso l’Ufficio per il coordinamento e la pianificazione delle forze di polizia del Dipartimento di Pubblica Sicurezza, al fine di permettere ad alcuni comuni, fra cui Milano, di assegnare le armi elettriche in dotazione effettiva. La sperimentazione ha riguardato quasi tutte le forze di polizia, escluse quella ferroviaria e quella penitenziaria. Con riguardo a quest’ultima, in particolare, vi sarebbero, infatti, eccessivi rischi per i potenziali destinatari dell’arma, che altro non sono che persone già ristrette nella loro libertà personale. Senonché, a seguito delle dimissioni del Governo in carica, tutto si concluse in un nulla di fatto. Poco dopo, anche a seguito dell’uccisione a Trieste di due agenti che stavano procedendo all’arresto di un sospettato di furto, i sindacati di polizia tornarono nuovamente alla carica, al fine di munire definitivamente le forze dell’ordine di taser.

Il nuovo Governo, il 17 gennaio 2020, ha adottato un regolamento prevedendo l’introduzione delle nuove armi elettriche per la Polizia di Stato.
Dunque, nel giro di poco più di un anno, anche in Italia le forze di polizia potrebbero far ricorso al taser, nonostante le molte perplessità che questo strumento continua a suscitare. L’art. 13 della nostra Carta Costituzionale non è, infatti, l’unico diritto ad essere coinvolto. Non è possibile parlare di taser senza constatarne un grave impatto rispetto al diritto alla salute consacrato nell’art. 32 della Costituzione, dal momento che è stato dimostrato che le scosse elettriche, oltre a cagionare danni temporanei o permanenti, possono, in alcuni casi, anche determinare la morte del destinatario.
Occorre, perciò, interrogarsi, in tema di diritto interno, sulla possibile incostituzionalità del taser e della sua disciplina per violazione dell’art. 13 Cost., posto che nei decreti legge di riferimento non vi è alcuna indicazione dei casi e dei modi in cui la libertà personale possa essere limitata per mezzo del nuovo strumento.
Prima ancora che venisse annoverato tra le armi a disposizione delle forze di polizia, il taser è stato classificato dalla nostra giurisprudenza di legittimità come un’arma comune da sparo.
La norma di riferimento sarebbe dunque l’art. 53 c.p., che stabilisce la non punibilità del pubblico ufficiale che, adempiendo ad un proprio dovere, fa uso di armi o mezzi di coazione fisica, essendone stato costretto dalla necessità di vincere una resistenza o di respingere una violenza ovvero di impedire la consumazione di delitti di strage, naufragio, sommersione, disastro aviatorio o ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata o sequestro di persona e, comunque, in tutti gli altri casi previsti dalla legge di uso legittimo delle armi.
Legittimamente la polizia potrebbe impiegare il taser limitando la libertà personale in tutte le situazioni individuate dal codice penale e nel rispetto dei criteri di necessità e proporzionalità. Tuttavia, davvero si può pensare che la disciplina dell’impiego di qualunque arma possa integrare l’altro fondamentale presupposto dell’art. 13 Cost., e cioè quello della definizione dei modi di utilizzo dell’arma?
Si potrebbe prevedere un superamento della lacuna tramite la previsione di un controllo del giudice sull’uso del taser. Dovrebbe essere il giudice a verificare la legittimità dell’operazione in sede di convalida, valutandone i parametri di necessità e proporzionalità.
Tuttavia, il controllo giurisdizionale in sede di convalida sulla legittimità dell’arresto non si estende alla verifica della necessità e proporzionalità dell’intervento avvenuto con uso di armi. È evidente che in assenza di una disciplina che si occupi dei “modi” di impiego del taser, questo controllo aggiuntivo non potrebbe essere assicurato.

Nella disciplina sull’arresto, manca una disposizione sui modi di limitazione della libertà personale tramite l’uso di armi: questo problema potrebbe apparire più generale rispetto alle semplici armi elettriche. Sino ad ora si è ritenuto che la lacuna codicistica potesse essere colmata con il ricorso al già menzionato art. 53 c.p.p.
Con l’introduzione del taser, tuttavia, la polizia si trova nelle mani uno strumento del quale potrebbe facilmente essere indotta ad abusare ed il problema della proporzione dovrebbe essere autonomamente regolato per legge.

In conclusione, vista l’assenza di garanzie specifiche ad assicurare la necessità e la proporzionalità nell’impiego dello strumento, è lecito sostenere che la nuova normativa non sia, ad oggi, in linea con i principi affermati dalla Corte Europea. Fondati dubbi possono anche essere avanzati in merito di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 13 e 32 Cost.
C’è quindi da augurarsi che la legislazione possa essere adeguata a maggiori esigenze di civiltà giuridica prima di trasformare in prassi quello che ad oggi è solamente un fervido desiderio di utilizzo di armi elettriche.

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