I figli di genitori separati ai tempi del coronavirus: tra tutela della salute e violazioni penali
Amanda Cascone
L’emergenza epidemiologica determinata dal Covid-19 e la connessa legislazione di urgenza emessa per arginarla stanno avendo impatti enormi su ogni settore della vita sociale, determinando non solo la necessità di modificare i comportamenti in questa fase acuta, al fine di limitare le possibili vie di trasmissione del contagio, ma prospettando già da ora un futuro cambiamento delle relazioni umane.
Tra le tante situazioni che hanno destato da subito un’attenzione significativa da parte delle autorità, troviamo quella relativa ai figli minori di genitori separati. Con questa espressione si intendono sia le coppie sposate che hanno fatto ricorso alla separazione o al divorzio, sia le coppie non sposate che non vivono più insieme. Le misure di contenimento emanate dal Governo e da varie Regioni si sono concentrate innanzi tutto sulla chiusura immediata delle scuole e man mano di aziende private e uffici pubblici, consentendo la prosecuzione solo di attività essenziali, e contestualmente chiedendo alle persone di restare a casa e non spostarsi se non per giustificato motivo (lavoro, salute, ragioni di urgenza, ecc.).
Da qui, la domanda su come debbano comportarsi i genitori separati in tempi di coronavirus.
Prima di entrare nel merito della trattazione, appare utile premettere alcuni cenni sul regime di visita dei figli di genitori separati. Quando una coppia genitoriale (coniugata o meno) entra in crisi e si separa, viene di solito disposto l’affidamento condiviso del figlio minore a entrambi i genitori: questa rappresenta l’opzione prioritaria, in quanto ritenuta conforme all’interesse del minore, anche in presenza di una forte conflittualità, purché in tale contesto non emerga un pericolo di pregiudizio all’educazione dei minori (che potrebbe condurre ad un affidamento esclusivo ad un solo genitore ovvero a terzi, ad esempio al Comune di residenza del minore). A prescindere comunque dalla tipologia di affidamento, il giudice individua (ove non abbiano già provveduto i genitori stessi in sede di accordi) il luogo di collocazione del minore, e determina altresì i tempi e le modalità di frequentazione tra il figlio ed il genitore non collocatario, secondo profili fattibili, che non costringano cioè minore e genitori a stravolgere completamente le proprie abitudini di vita ovvero ad affrontare sforzi economici insostenibili.
In questo contesto di emergenza sanitaria, quando sono intervenuti i primi provvedimenti limitativi alla libertà di movimento ci si è immediatamente chiesto se i figli di genitori separati potessero continuare a spostarsi dalla casa di un genitore a quella dell’altro, secondo gli accordi di separazione ovvero secondo le prescrizioni disposte dall’autorità giudiziaria. Nelle indicazioni operative del Governo, reperibili sul sito del Governo stesso nella sezione Faq sul Decreto #IoRestoaCasa e contenute nel DPCM dell’11 marzo 2020, si faceva espressamente riferimento alla questione, e si diceva che “gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, sono consentiti, in ogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio”. Pertanto, le misure restrittive non incidono sulla facoltà per i genitori di spostarsi (anche in Comune diverso da quello di residenza) per prelevare e/o accompagnare i figli presso l’altro genitore, in quanto si è ritenuto che il diritto a frequentare i figli (o meglio, il diritto dei figli a continuare a frequentare entrambi i genitori) non possa essere compresso dalle misure di contenimento epidemiologico.
Il chiarimento governativo sul punto è stato importante, ma nel frattempo la confusione e la preoccupazione di questo periodo hanno evidentemente indotto non pochi genitori a tenere i figli minori in casa, impedendo loro anche le uscite per le previste frequentazioni con l’altro genitore, nel timore di un possibile contagio: di qui l’acuirsi di forti tensioni in ambito familiare, con interventi anche delle Forze Pubbliche. In effetti, se la ratio dei provvedimenti restrittivi adottati è quella di limitare il più possibile i rapporti sociali e l’ulteriore diffusione del contagio a tutela innanzitutto della salute collettiva oltre che di quella individuale, allora consentire a minorenni di continuare ad uscire di casa e frequentare altre persone (l’altro genitore, ma anche eventuali suoi altri conviventi) frustra le esigenze di distanziamento sociale (la medesima ratio, ad esempio, ha condotto i gestori delle comunità che ospitano minorenni a limitarne i rientri periodici in famiglia e gli incontri con i familiari, sostituendoli con incontri a distanza come le videochiamate).
I primi contrasti genitoriali hanno determinato un conseguente contenzioso giudiziario, che ha condotto la prima giurisprudenza (ad esempio, quella del Tribunale di Milano in data 11 marzo 2020) a stabilire che il diritto dei figli a frequentare entrambi i genitori è prevalente rispetto alle misure contenitive e ai divieti emessi in questo periodo, in quanto “nessuna chiusura di ambiti regionali può giustificare violazioni di provvedimenti di separazione o divorzio vigenti”.
Di contrario avviso altri Tribunali, come quello di Busto Arsizio e di Bari. Questi, in data 24 marzo 2020 e 26 marzo 2020, hanno stabilito che, proprio per il precipuo interesse della salute dei minori e di quella collettiva, appare sconsigliabile lo spostamento dei figli per i prescritti incontri, che, invece, possono agevolmente essere sostituiti in questo momento emergenziale con video telefonate e collegamenti telematici. Del medesimo avviso anche il Tribunale di Bologna, che in data 23 marzo 2020 emette un decreto che dispone la sospensione delle visite paterne fino al 15 aprile 2020.
Il problema in esame ha degli indubbi profili di rilevanza penale, potendo integrare la violazione del delitto previsto dall’articolo 388 del codice penale.
La norma in questione punisce, al primo comma, chiunque, al fine di sottrarsi all’adempimento degli obblighi nascenti da provvedimento dell’autorità giudiziaria, o dei quali è in corso l’accertamento dinanzi all’autorità giudiziaria stessa, compia sui propri o sugli altrui beni atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti, con la reclusione fino a tre anni di reclusione o con la multa da euro 103 a euro 1032. Al secondo comma (per quello che ci interessa in questa sede) punisce con la stessa pena chi elude l’ordine di protezione previsto dall’articolo 342 ter del codice civile, ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ovvero ancora l’esecuzione di un provvedimento del giudice civile, ovvero amministrativo o contabile, che concerna l’affidamento di minori o di altre persone incapaci.
Occorre chiedersi, a questo punto, se la salute di un bambino o di un genitore sia meno importante del calendario che disciplina i loro incontri. La risposta sembra essere negativa.
Se gli incontri sono possibili, pur nelle ristrettezze della normativa di emergenza, non significa che siano sempre obbligatori, in quanto in concreto tali visite andranno bilanciate con le esigenze di tutela della salute del minore e delle persone che abitualmente convivono con lui (l’altro genitore, altri fratelli, nonni, ecc.), con una valutazione che andrebbe effettuata congiuntamente dai genitori. In mancanza di valutazione congiunta e soprattutto concorde, è possibile che uno dei genitori (normalmente quello collocatario) operi di iniziativa, con scelta dettata dalla prudenza e dalla giusta preoccupazione di salvaguardare la salute individuale e collettiva, impedendo momentaneamente le visite: una scelta, supportata da valutazioni di questo tipo (basate cioè sulla tutela del bene della salute), si potrebbe ritenere senz’altro scriminata rispetto all’eventuale violazione del reato previsto dall’articolo 388, II comma, del codice penale.
Ma quale scriminante potrebbe invocare il genitore in questo caso?
Viene in rilievo, in prima battuta, quella dello stato di necessità, prevista all’art. 54 c.p., la quale, affinché possa essere invocata, richiede la presenza di alcuni presupposti: innanzitutto, la presenza di un pericolo attuale e non volontariamente causato, e poi un danno grave alla persona dell’agente o di un terzo – i figli, in questo caso. Nel caso in questione il bene minacciato è la salute, tutelata all’art. 32 della Costituzione, non solo del proprio figlio, ma anche la salute collettiva.
Sono richiesti, ovviamente, anche dei requisiti per l’azione di salvataggio. Il primo di questi è la necessità dell’azione tenuta e l’inevitabilità del pericolo. Ovviamente l’inevitabilità del pericolo sussiste, in quanto il coronavirus è tuttora presente nel territorio italiano (e non solo), e il tasso di decessi e di contagi è ancora estremamente elevato. L’azione tenuta dal genitore può poi apparire sicuramente necessaria per la tutela della sicurezza e della salute dei figli: il pericolo deve essere evitabile solo attraverso una condotta penalmente rilevante. Altro requisito è la proporzione tra fatto e pericolo: il divario tra il bene salvato e quello sacrificato non deve essere eccessivo.
I principi appena esaminati non appaiono, per tuttavia, perfettamente applicabili alla fattispecie in esame, in quanto difficilmente se ne potranno rivenire i presupposti nel caso concreto.
Uno spazio più utile e aderente al caso concreto può, invece, essere individuato nell’applicazione della scriminate prevista dall’art. 51 co.1 c.p.: “l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità”. Ricorre tale situazione quando vi sono due norme tra loro in conflitto, una che vieta un certo comportamento e l’altra che invece lo permette: l’art. 51 risolve il conflitto permettendo di esercitare un diritto previsto da una norma escludendo il reato, in quanto si dà prevalenza al soggetto che è titolare del diritto. In questo caso, il genitore vuole far prevalere il diritto alla salute (art. 32 Cost.) del bambino (e di riflesso, della collettività) a discapito del diritto alla frequentazione con l’altro genitore previsto dal provvedimento del giudice civile. Diritto alla salute che si collega direttamente, in questo caso, e si salda, con il diritto all’esercizio consapevole e diligente della responsabilità genitoriale (art. 316 c.c.).
La domanda da porsi allora diventa: un eventuale rifiuto, motivato con l’esigenza di dover accordare prevalenza alla tutela della salute, sarebbe meritevole di denuncia e potrebbe incorrere in sanzioni? In fondo anche questa è un’assunzione di responsabilità da parte del genitore, ma di certo sarebbe bello che entrambi i genitori, almeno in questi frangenti, operassero responsabilmente e all’unisono, magari ricorrendo a incontri telematici quale possibile surrogato delle relazioni reali (e limitatamente, sia chiaro, allo stretto periodo dell’emergenza).
È chiaro che la valutazione di una situazione del genere dovrà essere compiuta con attenzione e ponderazione circa la eventuale sussistenza di un pericolo di pregiudizio per il minore, previa comparazione e bilanciamento tra l’interesse del figlio (e dell’altro genitore) e le esigenze (generali ed individuali) di tutela della salute. Un bilanciamento sicuramente possibile, come insegna la Corte Costituzionale con la sentenze n.17 del 25 gennaio 2017 e n.76 del 12 marzo 2017, che affrontano il tema del bilanciamento tra l’interesse, di rango elevato, del minore a fruire in modo continuativo delle cure genitoriali e il contrapposto interesse, pure di rilievo costituzionale, della difesa sociale. La tutela della salute può sicuramente prevalere, ma solo dopo aver esaminato caso per caso le circostanze concrete, che andranno poste a base della valutazione (ad esempio, il tasso di esposizione al rischio di contagio del genitore in ragione della attività lavorativa svolta, l’area territoriale di residenza all’interno delle c.d. zone rosse o meno, ecc.).