‘Ndrangheta: l’ascesa dei pastori
‘Martina Strangis
In fondo allo stivale c’è una terra della quale tutti conoscono il nome, ma in pochi ne ricordano l’esistenza: la Calabria. Nascere nella punta dello stivale può essere un dono, per le meraviglie che questa terra offre, oppure una sventura: a volte nascere in un contesto sociale piuttosto che in un altro può fare la differenza e, in questo caso, bisogna avere in un certo senso la fortuna di nascere nell’angolo giusto di una terra in cui vi è profonda ingiustizia.
Bisogna essere fortunati, in Calabria, e sperare di appartenere a una famiglia giusta, buona, onesta. Poiché proprio la famiglia sta alla base di quella che oggi è la mafia più potente al mondo, l’unica ad essere presente in tutti e cinque i continenti: la ‘ndrangheta. Come può la famiglia, quel luogo in cui ognuno di noi dovrebbe poter trovare rifugio, divenire la forza motrice di tale potenza? Il ragionamento sotteso è semplice e coinvolge il sentimento primordiale dell’affetto familiare, del quale anche il nostro ordinamento tiene conto nel momento in cui, ad esempio, attribuisce la facoltà al testimone in un processo penale di non rispondere alle domande quando egli è prossimo congiunto dell’imputato (art. 199 c.p.p.), non volendolo porre nella scomoda situazione di nuocere ad un familiare o mentire. Dunque, chi di noi sarebbe disposto a tradire il proprio padre, il proprio fratello, il proprio marito, sapendo di contribuire così ad una condanna giudiziaria? Con un po’ di onestà, ognuno di noi in cuor proprio sa che sarebbe una scelta fin troppo difficile da compiere, soprattutto quando, come nei casi che vedono coinvolte le famiglie mafiose, non si hanno prospettive alternative se non quelle di sottostare alla volontà altrui, dei capifamiglia, poiché non si vedono chances future di una vita differente all’insegna della legalità. Solo in pochi sono riusciti a compiere questo gesto -considerato dalle famiglie mafiose di alto tradimento– poiché per farlo c’è bisogno di grande integrità morale, consapevolezza, conoscenza e poca ignoranza, dato che ancor prima della giustizia legale, bisogna prendere coscienza di quella morale. Il legame di sangue su cui si basa la ‘ndrangheta spiega anche il perché del numero relativamente basso di collaboratori di giustizia, rispetto alle altre organizzazioni criminali: tradire la ‘ndrangheta significa infatti rompere anche con la propria famiglia, e questo passaggio risulta particolarmente difficile per molti affiliati.
L’unità base della ‘ndrangheta è la ‘ndrina, ovvero la cosca mafiosa gestita dalla famiglia, che ricalca i rapporti di sangue. A capo della ‘ndrina vi è il “Capo ‘ndrina”, carica che si trasmette di padre in figlio. Ciascuna ‘ndrina, distinta dalle altre generalmente in base al cognome dei capifamiglia, governa parte del territorio calabrese, che esso sia un paese o un quartiere di una città. Tuttavia, la struttura della ‘ndrangheta non è orizzontalmente limitata ma, al contrario, è un’organizzazione piramidale ben definita, alla cui base troviamo le ‘ndrine per poi passare a La Locale, l’unione delle ‘ndrine presenti su uno stesso territorio, formata a sua volta secondo lo schema della cd. doppia compartimentazione: la società minore e la società maggiore. L’organigramma della ‘ndrangheta è del tutto similare a quello di un’azienda qualsiasi, con i suoi capi locali, gli addetti alla contabilità (contabili), i responsabili della pianificazione e dell’esecuzione delle attività – in questo caso criminali- (crimine). Al vertice della struttura della ‘ndrangheta vi è, infine, il Crimine o Provincia che è un organo di coordinamento e di riferimento per tutte le locali attive.
Un punto di snodo per l’evoluzione della ‘ndrangheta avvenne nel 1969 sulle colline dell’Aspromonte, a San Luca, dove ogni anno si riunivano i capi locale di tutto il mondo. In quella occasione – storicamente ricordata come il summit di Montalto – si discusse dell’unitarietà della ‘ndrangheta e si affermò che non vi doveva più essere la ‘ndrangheta divisa tra i vari locali ma che si doveva guardare ad una prospettiva di unificazione, in particolare tra nord e sud, stabilendo una comune linea d’azione per far cessare la guerra tra le cosche. Il summit del 1969 venne interrotto dalle forze dell’ordine con l’operazione Montalto, a cui seguì l’arresto di numerosi affiliati. Nell’ottobre del 1970 il Presidente del Tribunale di Locri, G. Marino, emise una sentenza in cui – appunto – si spiegava l’unitarietà della ‘ndrangheta. Tale sentenza tuttavia venne demolita, l’anno seguente, dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria, che non riprese e condivise il concetto di unitarietà della ‘ndrangheta. Solamente nel 2010, dunque più di trent’anni dopo, con l’operazione Crimine-Infinito si è tornati a parlare nuovamente di unitarietà della ‘ndrangheta quando questa, oramai, era divenuta un filo rosso che univa tutta l’Italia.
Come è stato possibile per la ‘ndrangheta – che in molti ancora oggi considerano, con ignoranza dolosa, la mafia dei pastori e dei sequestratori- divenire una potenza così tanto dilagante? Ci sono una serie di concause che spiegano l’evoluzione di questo fenomeno. Innanzitutto, la ‘ndrangheta è stata colpevolmente sottovalutata dai magistrati, dalle forze dell’ordine, dai giornalisti e ovviamente dalla politica. ‘Ndrangheta e corruzione, in ambito politico, vanno a braccetto: la ‘ndrangheta vota e fa votare e, più di tutto, la ‘ndrangheta non ha ideologie, non è né di destra e né di sinistra, semplicemente punta sul cavallo vincente e preferisce stare dalla parte della maggioranza. Negli ultimi venti anni si è ribaltato il ruolo tra ‘ndrangheta e politica: se, infatti, un tempo era il mafioso che andava dal politico a offrire pacchetti di voto, negli ultimi anni è accaduto sempre più il contrario, e questo perché il mafioso, a differenza del candidato, è una presenza costante sul territorio, 365 giorni all’anno. Paradossalmente il mafioso è in grado di dare maggior risposta sul territorio, seppur distorta, offrendo, ad esempio, lavoro nero in un momento in cui la popolazione necessita di avere sostentamento per la propria esistenza. Semplicemente la ‘ndrangheta riesce ad essere camaleontica, sapendo mutare al mutare delle esigenze della popolazione, poiché essa stessa ne fa parte. Infatti, la molla che ha spinto lo sviluppo della ‘ndrangheta è stata senza dubbio il suo pragmatismo, il suo preferire un rapporto-accordo con lo Stato, anziché il conflitto. Questo anche in ambito processuale, seguendo l’idea che “mal che vada, si riesce ad ottenere uno sconto di pena”. Questa è stata, senza ombra di dubbio, la politica vincente della mafia calabrese.
Dunque, il mancato investimento nel contrasto della ‘ndrangheta ha portato la stessa ad acquisire grande potenza già a partire dagli anni ’70 e a prendere completamente piede nei primi anni ’90 quando vi fu il declino di Cosa Nostra in seguito alle Stragi del ’92-’93. Lo Stato, sottovalutandola, poiché la riteneva una mafia povera, appunto “di pastori”, e concentrandosi sullo stragismo dei corleonesi sulla Sicilia, ha permesso alla ‘ndrangheta già circa cinquant’anni fa di mandare suoi broker in Colombia, Bolivia e Perù a comprare cocaina in modo del tutto indisturbato. Così, ancora ad oggi, i broker della ‘ndrangheta comprano la cocaina a mille euro al chilo nella foresta Amazzonica mentre le altre mafie a circa milleottocento euro, avendo così un netto vantaggio iniziale sui costi. Da almeno quindici anni la ‘ndrangheta non vende più al dettaglio ma si è eretta a grossissimo intermediario tra i colombiani e la vendita di cocaina sul territorio europeo che, ad oggi, si presta ad essere una grande prateria al servizio degli affari degli ‘ndranghetisti, della quale possiedono il controllo per circa l’80%.
Tuttavia, la ‘ndrangheta non è solo questo. Infatti, quello delle droghe è solo uno dei tanti business che questa associazione mafiosa possiede, seppur il più redditizio, quantomeno anche e soprattutto per via dell’estensione del mercato. La ‘ndrangheta sin dai suoi albori si è occupata di estorsione e usura, in particolar modo in Calabria, anche se negli ultimi anni si è registrato un aumento dell’attività estorsiva anche nel nord Italia. A partire dagli anni ’70, prima in Calabria e oggi sempre di più nel nord Italia, la ‘ndrangheta ha cominciato l’attività illecita di infiltrazione in appalti e sub-appalti. Ma non solo, la lista di attività della ‘ndrangheta risulta essere piuttosto lunga e sconfortante: essa si occupa anche di gestione dei rifiuti, appropriazioni indebite, traffico d’armi, immigrazione, corruzione, racket e, ovviamente, di riciclaggio di denaro.
Dunque, la ‘ndrangheta esiste ed è un fenomeno storico, sociale, politico ed economico infiltrato negli ambiti più disparati. È nata tra i monti di una piccola regione italiana ed oggi è ovunque, non solo in Italia o in Europa ma in tutto il mondo. Non si può negare la sua forza, ma ciò non significa che non si possa combattere. La ‘ndrangheta, come le mafie in generale, è un ostacolo al vivere civile, ma non per tale motivo insormontabile o impossibile da abbattere. Tuttavia, per farlo, non basta l’impegno di uno, due o pochi magistrati, sotto scorta da anni, pronti a correre il rischio della morte per il proprio ideale di civiltà, uguaglianza e giustizia. È importante che l’intera collettività prenda vera coscienza di tale fenomeno: se da un lato è importante che lo Stato ne riconosca la gravità e se ne discosti in maniera sempre più ferrea, impegnandosi a contrastarla con tutti i mezzi a sua disposizione e offrendo ai suoi cittadini gli strumenti per potersene a loro volta dissociare senza dover rischiare per l’incolumità propria o della propria famiglia, dall’altro è anche necessario che ogni cittadino decida da che parte stare. Finché esisterà l’omertà, e fin quando essa sarà alimentata dall’ignoranza, convenienza o dalla paura, saranno in pochi a combattere la battaglia contro le mafie e, come affermava il Magistrato Giovanni Falcone: “si muore generalmente perché si è soli […] Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno”.
La lotta alla ‘ndrangheta, e alle mafie in generale, dunque, può essere vinta. Soltanto, tuttavia, se si è tutti uniti.