La rinnovazione del dibattimento a seguito di modifica nella composizione del giudice: la pronuncia delle sezioni unite
Marta Zanchi
Con la sentenza n. 41736, depositata il 10 ottobre 2019, le Sezioni Unite hanno preso posizione sul delicato tema delle regole da osservare per una corretta rinnovazione del dibattimento nel caso di mutamento nella composizione del giudice nel corso del processo penale.
La Suprema Corte si è soffermata sull’interpretazione dell’art. 525 co. 2 c.p.p. secondo cui alla deliberazione della sentenza concorrono i medesimi giudici che hanno partecipato al dibattimento, a pena di nullità assoluta. In particolare, il primo quesito rimesso alla Corte chiedeva se fosse o meno rilevante, al fine del rispetto del principio d’immutabilità del giudice, la diversità di composizione tra il giudice che si è limitato a disporre l’ammissione della prova dichiarativa e quello dinnanzi al quale è avvenuta la sua assunzione. Tramite il secondo quesito, le Sezioni Unite hanno poi affrontato la questione se, ai fini di ritenere la sussistenza del consenso delle parti alla lettura degli atti assunti, sia sufficiente la mancata opposizione delle stesse oppure sia invece necessario la presenza di ulteriori circostanze che la rendano univoca.
L’art. 525 co. 2 c.p.p. nel fissare la regola dell’immutabilità del giudice attua il principio di immediatezza che postula la tendenziale identità tra il giudice che assume le prove e il giudice che decide. La ratio della rinnovazione delle prova dichiarativa risiede nella necessità di preservare il rapporto diretto tra giudice e formazione della prova e di cogliere – mediante la diretta percezione delle dichiarazioni dei testi escussi – tutti i connotati espressivi, anche non verbali, del dichiarante al fine di valutarne la credibilità e l’attendibilità. La regola del riesame del dichiarante in presenza di una richiesta di parte, infatti, costituisce uno dei profili del diritto alla prova, strumento che garantisce e attua il diritto di difesa e che allo stesso tempo caratterizza il modello processuale accusatorio.
Come prima cosa la Suprema Corte ha ribadito che a seguito del mutamento del giudice il dibattimento deve essere integralmente rinnovato, il che comporta la necessità della ripetizione della sequenza processuale costituita da: dichiarazione di apertura del dibattimento, richieste di ammissione delle prove, provvedimenti relativi all’ammissione e assunzione delle prove.
Il principio di immutabilità non sarà invece violato quando il giudice diversamente composto si sia limitato al compimento di provvedimenti compiuti prima del dibattimento, quali, ad esempio, il compimento di atti urgenti (ex art. 467 c.p.p.), l’autorizzazione alla citazione dei testimoni (ex art. 468 c.p.p.) o la decisione delle questioni preliminari (ex art. 491 c.p.p.). In merito a quest’ultime, la Corte ha specificato come dinnanzi al nuovo giudice possano essere presentate la questioni precedentemente sollevate davanti all’altro giudice-persona fisica, ma non possano essere sollevate questioni del tutto nuove che le parti avrebbero potuto e dovuto proporre davanti al precedente.
Fatte queste precisazioni le Sezioni Unite sono passate ad analizzare la parte principale della disciplina in esame, vale a dire la rinnovazione del dibattimento.
Per quanto riguarda le attività di dichiarazione di apertura del dibattimento, richieste di prova e relativa ordinanza ammissiva, la Corte ha affermato che, in applicazione del principio di cui all’art. 525 co. 2 c.p.p. (secondo il quale i provvedimenti già emessi conservano efficacia se non espressamente revocati), non sarà necessaria una loro formale rinnovazione, argomentando che la regola del tacito rinnovo è compatibile con il principio della ragionevole durata del processo.
Per quanto concerne, invece, gli esami testimoniali già espletati, innanzitutto è ammesso il potere d’ufficio del giudice di disporre la ripetizione dell’esame del teste (esclusivamente nei limiti di assoluta indispensabilità ex art 507 c.p.p.).
Con riferimento all’esame richiesto dalla parte, le Sezioni Unite hanno anzitutto introdotto un criterio di restringimento soggettivo; infatti solo la parte che aveva già inserito il dichiarante nella propria lista testi precedentemente depositata può chiedere la ripetizione del suo esame.
Se la parte fa richiesta di reiterazione dell’esame testimoniale, il giudice dovrà effettuare l’ordinaria valutazione riguardo al fatto che non si tratti di prove: a) vietate dalla legge, b) manifestamente superflue, c) irrilevanti. E proprio sul concetto di “superfluità” la Suprema Corte ha effettuato un’importante precisazione, specificando che il giudice può ritenere superflua la reiterazione dell’escussione anche nel caso in cui si tratti di una pedissequa e pertanto sovrabbondante reiterazione di attività già svolta. Il nuovo esame del dichiarante già esaminato potrebbe quindi ritenersi “manifestamente superfluo” ad esempio nel caso in cui la parte non abbia indicato nuove circostanze sulle quali esaminare il teste oppure non siano stati indicati i motivi di inattendibilità del teste e la conseguente necessità che egli venga nuovamente esaminato.
Tale interpretazione, secondo le Sezioni Unite, trova una sua conferma nel fatto che il legislatore ha espressamente attribuito al giudice il potere discrezionale di non ammettere (in caso di manifesta superfluità) le istanze probatorie volte ad ottenere la pedissequa reiterazione degli esami di soggetti dei quali siano stati acquisiti verbali di dichiarazione rese in procedimenti diversi: questa possibilità, dunque, andrebbe concessa al giudice anche nel caso in esame.
In conclusione, per quanto riguarda il secondo quesito relativo al consenso delle parti alla lettura degli atti assunti dal giudice precedente, le Sezioni Unite hanno affermato che se le parti non chiedono alcuna reiterazione di prova già assunta, o la reiterazione è stata chiesta ma rigettata in quanto superflua, o la reiterazione è divenuta impossibile, le dichiarazioni già presenti al fascicolo sono utilizzabili previa lettura ex art. 511 c.p.p..
Nel caso in cui la prova venga reiterata, saranno comunque utilizzabili sia le dichiarazioni nuove sia quelle già presenti al fascicolo del dibattimento, suscettibili di lettura ex art. 511 c.p.p..
Tale sentenza non è passata esente da censure.
Ad esempio, la Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane ha rilasciato una nota molto critica nei confronti dei principi enunciati dalle Sezioni Unite, giungendo ad affermare che, tramite tale pronuncia, la Suprema Corte avrebbe di fatto “abrogato” il primo cpv. dell’art. 525 c.p.p.. Secondo la Giunta tale intento abrogativo sarebbe evidente per il fatto che le parti, nella richiesta di rinnovazione di prove dichiarative precedentemente assunte, vengono gravate dall’obbligo di indicare le “circostanze decisive” che impongono la rinnovazione; infatti, poiché il giudice può non ammettere la rinnovazione della prova quando essa appaia superflua o irrilevante, alle parti di fatto non sarebbe più concesso chiedere la rinnovazione delle prove dichiarative per il solo fatto del mutamento del giudice. Di conseguenza, secondo tale critica, il secondo comma dell’art 525 c.p.p. finirebbe per avere effetto solo in rare e residuali ipotesi. Inoltre, secondo l’Unione delle Camere Penali, le Sezioni Unite nella loro pronuncia non avrebbero tenuto conto del chiaro significato del dispositivo del primo cpv. dell’art 511 c.p.p. il quale afferma che: “La lettura di verbali di dichiarazioni è disposta solo dopo l’esame della persona che le ha rese, a meno che l’esame non abbia luogo”: secondo la Corte, infatti, l’inciso “a meno che l’esame abbia luogo” ricomprende non solo il mancato svolgimento dell’esame per scelta delle parti o per impossibilità di effettuarlo, ma anche il rigetto delle istanze di rinnovazione da parte del giudice sopravvenuto, nell’esercizio dei propri poteri valutativi. Tale pronuncia, aggiunge il comunicato, non troverebbe giustificazione nell’esigenza di evitare un utilizzo distorto a meri fini dilatori dell’istituto da parte dei difensori, in quanto i processi nel quale si pone il problema della rinnovazione delle prove orali per mutamento del giudice costituirebbero una percentuale statisticamente irrilevante. La Giunta conclude quindi esponendo la sua preoccupazione in merito a questa sentenza in quanto a suo avviso lesiva delle garanzie difensive e delle regole del giusto processo.
L’effettivo impatto di questa sentenza potrà essere valutato solo negli anni a venire; quello che ora si può affermare, dato il clamore suscitato, è la centralità e delicatezza che tale tematica riveste nel settore del diritto processuale penale.