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«Oggi mamma non è a casa»

Il caso delle baby squillo e l’intervento del diritto penale

Elvira Ricotta
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Correva l’anno 1955: Vladimir Vladimirovic pubblicava per la prima volta Lolita, un romanzo scabroso, intriso di crudo peccato, una storia di passione distorta e spregiudicata tra un’adolescente e un uomo di età matura, il professor Humbert. Correva l’anno 2013: a Roma esplodeva lo scandalo delle baby squillo, due ragazze di quattordici e quindici anni, figlie della Roma bene e vittime di un vortice di prostituzione, coca, mani adulte su corpi esili e ancora abbozzati, immaturi.

In seconda superiore la mente è leggera, ignara delle conseguenze, ma estremamente sensibile al fascino delle cose semplici: le due protagoniste cercano un modo per lavorare poco e guadagnare tanto, cliccano su un annuncio di lavoro online, si parla di prostituzione. La più grande non esita, mette in vendita il suo corpo, intasca il denaro, compra borse firmate, prenota vacanze costose.

Dopo poco tempo, la forza gravitazionale della “bella vita” trascina in fondo anche la più piccola: uno, due, cinque clienti al giorno, “mamma vado a lavorare” e invece nude su un letto sconosciuto. L’industria del sesso a pagamento ha alle spalle ingranaggi più complessi di quelli che una ragazzina può gestire: per questa ragione, le due adolescenti entrano nel giro di Mirko Ieni e Nunzio Pizzacalla, papponi pariolini, disposti a vendere innocenza a uomini senza scrupoli.

Il giro di clienti cresce a dismisura, le baby squillo chiedono di incontrare uomini più grandi per il timore che il loro prossimo padrone possa averle conosciute tra i banchi di scuola, fingono di avere diciannove anni barcollando su tacchi a spillo, ma non tradiscono la loro vera età se si rendono conto che per l’altra parte non è un problema.

Il tritacarne si inceppa con la denuncia di una delle due madri: le indagini non impiegano molto tempo per portare luce sul traffico di prostituzione minorile e pronunciare giuste condanne nei confronti dei responsabili. Il fenomeno di Roma Nord non è però isolato: nuove città, nuovi nomi, stessi soldi facili, stesso squallore, stessi corpi di bambine cresciute troppo in fretta.

La prostituzione minorile è un fenomeno in vergognosa crescita che si fa strada in un mantra di apparenza e immagine, terreno arido in cui il diritto interviene con l’articolo 600 bis del codice penale. L’articolo viene introdotto dalla legge n. 269 del 1998, nel più generale contesto delle ‘Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale a danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù’, in ossequio al rafforzamento della tutela minorile sancito nella Convenzione di New York del 1989.

Di particolare rilievo è la collocazione delle disposizioni nella sezione dei ‘Delitti contro la Libertà e la Personalità Individuale’: il legislatore focalizza la sua attenzione sullo stadio di fragilità psicologica del minore, potenzialmente non in grado di scegliere in maniera consapevole la destinazione e del suo corpo e delle sue azioni.

Nel dettaglio, al numero 1 del primo comma del dispositivo si punisce l’induzione alla prostituzione che si manifesta nelle plurime forme della persuasione, della determinazione e del convincimento a prostituirsi. Il diritto, per sua natura, si modella in virtù del soggetto che intende tutelare, e dunque anche la semplice promessa di beneficio – generalmente incapace di produrre effetti in una persona adulta – è qui riconducibile alla fattispecie incriminata.

Al numero 2 sempre del primo comma, la norma punisce il favoreggiamento, lo sfruttamento, la gestione, l’organizzazione, il controllo e il profitto dell’esercizio di prostituzione minorile.

Al secondo comma, la previsione normativa si concentra sulla figura del “cliente”, ossia colui che compie atti sessuali con minorenne ultraquattordicenne, offrendo in cambio danaro o altra forma di beneficio. Come successivamente chiarito da Cassazione Penale n. 35147/2011, “l’elemento soggettivo nel reato di prostituzione minorile è il dolo generico, anche nella forma del dolo eventuale, sicché ai fini della sua concreta sussistenza, è sufficiente che l’autore del reato accetti anche solo il rischio di favorire o sfruttare la prostituzione di ragazze minori di anni diciotto” (Cass. Pen., sez. III, sentenza 28 settembre 2011): il minimo dubbio sull’età della prostituta dovrebbe essere dotato di una forza sufficiente ad arrestare il compimento dell’atto sessuale, ma la realtà racconta che spesso proprio l’immaturità e l’innocenza siano da traino e da impulso alla commissione del fatto.

La forza preventiva del diritto agisce comunque in sordina dinanzi ad un reato che nasce dalla voluttà, dalle intermittenze passionali e bestiali dell’essere umano. La miglior prevenzione, infatti, dovrebbe avere come protagonisti i minori piuttosto che i potenziali clienti. La prostituzione minorile nasce in qualsiasi strato, substrato, sostrato sociale, dimostrando un vuoto di valori che non conosce collocazione precisa.

Chi si abbandona alla prostituzione è attratto dallo sfarzo e dal disordine come bilanciamento della solitudine, non rispetta il proprio corpo e, peggio, ciò che dietro al corpo abita. Oltre a punire duramente chi approfitta della fragilità, l’ordinamento deve intervenire per arginare la fragilità stessa, cosicché possano esserci sempre meno adolescenti insicure per uomini perversi e malati.

L’augurio è che “oggi mamma non è a casa” sia di nuovo un messaggio innocente, banale, e mai più l’incipit

di un'ora di sesso criminale.

di un’ora di sesso criminale.

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