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Il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza

Antonella Carullo
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Le misure di sicurezza vengono ideate dal legislatore allo scopo di evitare che una persona socialmente pericolosa commetta altri reati in futuro. Innanzitutto, bisogna specificare cosa s’intende per persona socialmente pericolosa: l’art. 203 del codice penale qualifica come “socialmente pericolosa” quella persona che, anche se non imputabile o non punibile, ha commesso un reato ed è probabile che ne commetta altri in futuro. Questo giudizio prognostico deve essere ancorato ai criteri di cui all’art. 133 del codice penale, il quale stabilisce che nell’esercizio del suo potere discrezionale il giudice deve tenere conto di due diversi parametri, ossia della gravità del reato e della capacità a delinquere del soggetto. 

Occorre sottolineare che può essere assoggettato a misure di sicurezza anche chi commette un fatto non costituente reato nell’erronea supposizione che lo stesso costituisca reato, o chi commetta un’azione dalla quale è impossibile che scaturisca l’evento dannoso o pericoloso, o, infine, chi si accordi con altri per commettere un reato che però non viene commesso. 

Le misure di sicurezza rispettano il principio di legalità. Nessuno, infatti, può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi tassativamente previsti dalla legge; inoltre, la pericolosità sociale deve essere dichiarata con un provvedimento necessariamente motivato da parte dell’Autorità Giudiziaria. 

Il reato commesso dal soggetto malato di mente quasi sempre rappresenta un momento della sua storia psichiatrica che ha degli antecedenti e che avrà una sua inevitabile prosecuzione sia nel corso del processo penale, sia dopo la sentenza. Diventa quindi necessario saper distinguere la pericolosità sociale psichiatrica, che si identifica con la necessità di cure e di assistenza specialistica, in regime di coazione (trattamento sanitario obbligatorio giudiziario) o di libertà vigilata (trattamento in strutture comunitarie), dalla pericolosità sociale giuridica (o criminologica) il cui accertamento nella sua dimensione prognostica deve rimanere compito di esclusiva spettanza del magistrato.

Quando si tratta di minori, i presupposti per l’applicazione delle misure di sicurezza sono peculiari e meritano un’apposita e separata trattazione. È bene precisare, innanzitutto, che in considerazione dell’assunto secondo il quale il minore non ha ancora raggiunto un grado di sviluppo intellettivo tale da poter comprendere il valore etico-sociale delle proprie azioni, il codice penale annovera la minore età tra le cause di esclusione dell’imputabilità.

Da questo punto di vista occorre distinguere tra minore infraquattordicenne e minore con un’età compresa tra i quattordici ed i diciotto anni. Per il primo, infatti, è prevista una totale esclusione della imputabilità, mentre il minore fra i quattordici ed i diciotto anni è imputabile solo se il giudice accerta che al momento del fatto lo stesso si trovava in possesso della capacità di intendere e di volere. Per quanto riguarda i presupposti, deve essere necessariamente vagliata la pericolosità sociale specifica o qualificata del minore: “per le specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità dell’imputato, deve sussistere il concreto pericolo che questi commetta delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro la sicurezza collettiva o l’ordine costituzionale ovvero gravi delitti di criminalità organizzata.”

Infine, le misure di sicurezza applicabili ai minori sono di due tipi: libertà vigilata e riformatorio giudiziario. La prima, della durata minima di un anno, viene eseguita nella forma delle prescrizioni (le quali consistono solitamente in “obblighi di fare” inerenti alle attività di studio o di lavoro ovvero altre attività utili per l’educazione del minore) o della permanenza in casa, la quale può consistere sia nell’obbligo per il minore di permanere nell’abitazione familiare o in altro luogo di privata dimora, sia di osservare eventuali “comandi accessori”. La scelta ricadrà sull’una o sull’altra misura tenendo conto delle esigenze educative del minore e della sua personalità. La misura di sicurezza del riformatorio giudiziario, invece, ha un ambito applicativo più limitato rispetto alla libertà vigilata. Lo stesso è, infatti, adottabile solo per i minori che abbiano posto in essere delitti non colposi puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a nove anni o altri delitti tassativamente indicati come furto aggravato, rapina, estorsione, detenzione o porto di armi o di esplosivi, nonché detenzione di sostanze stupefacenti. La misura di sicurezza in questione viene eseguita nella forma del collocamento in comunità, durante il quale un’attività di sostegno particolarmente importante per il minore è svolta del responsabile della comunità in collaborazione con i servizi minorili. Il giudice, infine, può imporre specifiche prescrizioni analoghe a quelle previste per la libertà vigilata e può consentire al minore di allontanarsi dalla comunità per attività di studio o di lavoro ovvero per altre attività utili per l’educazione del minore.

Per concludere, è bene sottolineare che la competenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza è attribuita al Magistrato di sorveglianza per i minorenni del luogo dove la misura stessa deve essere eseguita. Quest’ultimo, la cui competenza cessa al compimento del venticinquesimo anno di età, impartisce le disposizioni concernenti le modalità di esecuzione della misura, sulla quale vigila costantemente anche mediante frequenti contatti, senza alcuna formalità, con il minorenne.

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