Codice rosso: quali le principali novità introdotte dalla legge 19 luglio 2019, n. 69?
Giovanna Cannella
La legge n. 69 del 19 luglio 2019 “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia della tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 25 luglio 2019 ed entrata in vigore il 9 agosto scorso, ha apportato diverse modifiche sia al codice penale che al codice di procedura penale con l’obiettivo di fornire una maggiore e più efficace tutela per le vittime di violenza domestica[1] e di genere. La presente legge è intervenuta su più fronti: potenziamento di istituti introdotti dalla Direttiva 2012/29/UE[2]in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato; inasprimento del trattamento sanzionatorio per reati già presenti nel codice penale; introduzione di nuove fattispecie delittuose; accelerazione del “tempo” volto all’instaurazione del procedimento penale per i reati di violenza.
Tra le nuove fattispecie di reato che sono state delineate, l’art. 7 l. 69/2019 introduce l’art. 558-bis nel codice penale relativo alla costrizione o induzione al matrimonio, che è punito con la reclusione da 1 a 5 anni. Sono previste aggravanti quando il reato è commesso a danno di minori, e si procede quand’anche il fatto sia compiuto all’estero da/in danno di un cittadino italiano o cittadino straniero residente in Italia.
Un nuovo articolo introdotto nel codice penale è l’art. 612-ter relativo alla diffusione illecita di immagini o di video sessualmente espliciti (c.d. Revenge porn). In tal senso, chiunque sottrae, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito – destinati a rimanere privati – senza il consenso delle persone rappresentate è punito con la reclusione da 1 a 6 anni e con multa da euro 5.000 a 15.000. Lo stesso trattamento sanzionatorio è riservato a chi, avendo ricevuto o acquisito le immagini o i video, li invia o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento. Il delitto è punito a mezzo di querela della persona offesa che deve essere proposta entro il termine di 6 mesi. Si pu procedere d’ufficio quando il fatto è connesso ad altri delitti per i quali si deve procedere d’ufficio. Sono previste delle aggravanti nel caso in cui il fatto sia commesso dal coniuge (anche separato o divorziato) o da persona che è stata legata da una relazione affettiva alla persona offesa, o se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. La pena è altresì aumentata se il fatto è commesso in danno di una persona in condizione di inferiorità psichica o fisica o in danno di una donna in stato di gravidanza.
L’art. 12 della l. 69/2019 introduce l’art. 583-quater c.p. che tipizza la condotta di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, punendo gli autori di tali reati con la reclusione da 8 a 14 anni. Qualora dal delitto in questione ne derivi la morte della vittima la pena prevista è l’ergastolo. I condannati per tali reati saranno trattati più severamente non potendo beneficiare di permessi premio, misure alternative alla detenzione in carcere e lavoro esterno.
Come già indicato nell’introduzione del presente articolo, la legge n. 69/2019 è intervenuta anche su fattispecie di reato già disciplinate dal codice penale. In materia di violenza sessuale ex art 609-bis c.p. la pena base prevista è quella della reclusione dai 6 ai 12 anni (che era prima prevista per le sole ipotesi aggravate di cui all’articolo 609-ter e che ora sono punite con la pena base aumentata di un terzo) senza fare riferimento alla particolare età della vittima, rilevando solo la minore età, e il fatto che l’autore del reato sia un ascendente/tutore dalla vittima. L’età rileva in termini di aggravante in particolar modo se la vittima non ha compiuto 14 anni, e soprattutto se il compimento degli atti sessuali avviene in cambio di denaro o di altra utilità (anche solo promessi). Si è raddoppiato il termine per la proposizione della querela, la quale pu essere presentata entro 12 mesi dal fatto, sulla base dell’art. 609-septies c.p.
In materia di atti persecutori ex art. 612-bis c.p. la pena è aumentata e va da 1 anno a 6 anni e 6 mesi. La condanna per questo tipo di reato potrebbe eventualmente giustificare anche l’adozione del divieto di avvicinarsi a determinati luoghi frequentati abitualmente dalla vittima. Si applica invece l’ergastolo nel caso di omicidio aggravato dalle relazioni personali, di cui all’art. 577 c.p., nel caso sia di relazioni affettive stabili anche senza convivenza, sia di convivenza senza relazione affettiva stabile. La pena è aumentata anche nel caso di violenza sessuale di gruppo punita con la reclusione da 8 a 14 anni. L’art. 8 della l. 69/2019 modifica il trattamento sanzionatorio nel caso di reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi innalzando la pena edittale da 3 a 7 anni, nonché inserendo una circostanza aggravante nel caso in cui il fatto sia commesso in presenza o in danno di una persona minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità, oppure se il fatto è commesso con armi. Il minore che eventualmente assista ai maltrattamenti si considera persona offesa dal reato.
Ulteriore novità introdotta dal Codice Rosso è relativa alla fase di denuncia e di indagini. Infatti, l’art.1 della legge n. 69/2019 fissa un obbligo per la Polizia Giudiziaria di riferire al Pubblico Ministero la notizia di reato per le fattispecie indicate dal legislatore, che includono anche i reati di maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate avvenute in famiglia o tra soggetti conviventi. La Polizia Giudiziaria è tenuta a comunicare tutti gli elementi essenziali raccolti, le fonti di prova e le attività compiute. È previsto un obbligo di comunicazione delle generalità, del domicilio e di tutti quei dati che consentono la identificazione della persona nei cui confronti si svolgono le indagini. Nel caso in cui la Polizia Giudiziaria abbia compiuto atti per i quali è prevista l’assistenza del difensore, la comunicazione della notizia di reato al Pubblico Ministero deve essere trasmessa entro le 48 ore dal compimento dell’atto, salvo la previsione di termini particolari. Per alcuni delitti (come i maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p., violenza sessuale ex art. 609-bis c.p., corruzione di minorenne, violenza sessuale di gruppo e atti persecutori) la comunicazione della notizia di reato è immediata e pu avvenire anche in forma orale, a cui seguirà senza ritardo quella scritta. Il Pubblico Ministero assume le informazioni entro il termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori o della riservatezza delle indagini che potrebbero giustificare una proroga del termine.
Con l’obiettivo di prevenire nel lungo termine i reati di violenza domestica e di genere, il Legislatore è intervenuto anche sul fronte della sospensione condizionale della pena: quest’ultima è subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni, i cui oneri ricadono sul condannato. La legge è stata ben accolta da parte del mondo politico e dall’opinione pubblica in quanto espressione dall’intenzione dello Stato di voler adottare delle soluzioni concrete a fenomeni che sono sempre più rilevanti nella nostra società (ricordando le sei donne uccise solo la scorsa settimana). La stessa Cassazione si è espressa così sul punto:
“[..]L’importanza della tutela delle persone offese, in particolare dei reati suscettibili di arrecare conseguenze gravissime sul piano psicologico come la violenza sessuale, è da tempo avvertita e le riflessioni condotte in base ad un attento esame della realtà e con il supporto delle acquisizioni scientifiche hanno indotto le organizzazioni internazionali e gli Stati a promuoverne ed implementarne i livelli di generale protezione anche all’interno del processo penale con l’adozione di atti normativi vincolanti per i paesi membri e con la stipula di apposite convenzioni internazionali. In tutti gli atti normativi internazionali [..] si afferma la necessità della tutela della persona offesa da reati come la violenza sessuale e dalla vittimizzazione secondaria”. [3]
[1] Secondo la Convenzione di Istanbul «[..] si intendono per violenza domestica uno o più atti, gravi ovvero non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima».
[2] Direttiva del 25 ottobre 2012 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI.
[3] Corte di Cassazione, sentenza del 26 luglio 2019 n. 34091.