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Parlare per convincere: l'oratoria forense nel processo penale

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Nella giornata di lunedì 13 ottobre, Keiron ha avuto il piacere di ospitare Simone Lonati, avvocato e professore associato di diritto processuale penale all’Università Bocconi, al seminario “Parlare per convincere: L’oratoria forense nel processo penale”  in cui ha raccontato la sua esperienza e fornito consigli preziosi agli studenti partecipanti.

Innanzitutto, il professor Lonati ha introdotto il tema dell’oratoria nel processo: la quale può essere definita come “l’arte di pronunciare un discorso” – in favore dell’accusa o della difesa – per persuadere il giudice o la giuria. Nel suo intervento, il professore si è soffermato in particolare sulle tecniche a cui gli avvocati possono ricorrere all’interno del dibattimento. Infatti, ha precisato, prima di questo momento l’oratoria è limitata, poiché il codice regola accuratamente gli interventi e le domande che le parti possono fare, nonché le modalità con cui queste debbano essere poste.

Il giudizio è la fase del processo penale in cui avviene la formazione della prova e nella quale il giudice viene chiamato a rispondere alla domanda formulata dal pubblico ministero circa la colpevolezza dell’imputato. Esaurita l’assunzione delle prove, il giudice concede la parola alle parti – pubblico ministero e, successivamente, avvocati della difesa – per procedere alla discussione finale, in cui entrambe formulano ed illustrano le rispettive conclusioni sulla base degli elementi emersi in precedenza. In questa fase viene data maggiore libertà all’avvocato difensore che può impostare la propria argomentazione nel modo che ritiene più appropriato sia per quanto riguarda le modalità di esposizione che il tono utilizzato e tutti gli altri elementi di cui verrà fatta menzione in seguito.

Lo strumento della parola risulta quindi essenziale: la differenza tra mera retorica – come arte della persuasione – e oratoria forense, risiede nel fatto che lo scopo non è tanto dimostrare la solidità o la coerenza del ragionamento, quanto convincere il giudice che da ciò che è emerso nel processo l’imputato è non colpevole. 

L’incontro è poi proseguito con la trattazione di alcuni esempi e tecniche che il difensore può utilizzare nel corso della sua orazione.

Secondo il professor Lonati, l’organizzazione del discorso deve tenere conto non solo del giudice in qualità di persona fisica, ma anche intenderlo come organo: gli argomenti e la loro modalità di esposizione varieranno quindi a seconda che si tratti di un giudice monocratico, della Corte d'Assise o della Corte di Cassazione. Per esempio, un giudice monocratico potrebbe aver assistito a molte udienze nella medesima giornata, per cui sarebbe più conveniente per l’oratore iniziare la propria argomentazione rammentando le modalità con cui si è svolto il dibattimento e le prove emerse. Viceversa, il linguaggio ed i toni del discorso dovranno variare nel caso in cui, accanto a giudici togati, vi siano anche giudici popolari (quindi, non esperti di diritto).

In secondo luogo, sarà necessario, per la costruzione dell’arringa, considerare il tipo di processo che si sta svolgendo: apparirà quindi fuori luogo l’utilizzo di una forte enfasi e un tono acceso all’interno di un processo per truffa, rivelandosi più appropriati nel momento in cui l’avvocato debba difendere un imputato accusato di omicidio. Inoltre, nella pianificazione dei fatti e degli argomenti da includere nella propria dissertazione, è bene tenere a mente che è sempre possibile che il giudice chieda delle repliche – anche se il codice le considera un’eccezione.

L’avvocato, nel definire il proprio discorso, deve impostarlo partendo dal presupposto che il giudice conosca già quanto emerso nel processo, ma che comunque potrebbe essere utile alla difesa ricordare i fatti principali. Inoltre, un’argomentazione, per essere convincente, deve evidenziare anche elementi sfavorevoli al proprio fine, in modo tale da poter dimostrare che non ci si “nasconde" rispetto alla verità dei fatti, ma anzi deve smontarla, per ricostruirla a proprio favore. Oltretutto, la troppa enfasi, posta sugli elementi a proprio favore, potrebbe far perdere di credibilità l’oratore. 

È preferibile anche evitare di spiegare il diritto al giudice, in quanto il discorso deve solo far emergere gli elementi del fatto che rientrano nella fattispecie giuridica. Nondimeno, nel caso in cui la Cassazione abbia dato diverse interpretazioni agli elementi della fattispecie in esame, la difesa potrebbe evidenziare al giudice l’interpretazione che ritiene più appropriata, così da orientarlo verso il proprio punto di vista.

Infine, è bene ricordare – ha precisato il professor Lonati – che l’eloquenza costituisce il ponte tra il difensore ed il giudice. Pertanto, avere un eloquio troppo erudito, ricolmo di toni enfatici, espressioni latine e citazioni arcaiche potrebbe, ancora una volta, far perdere di credibilità all’oratore. Molto spesso, quindi, più semplice appare l’argomentazione, più sembra verosimile la ricostruzione dei fatti proposta dalla difesa.

Per concludere, il seminario ha fornito importanti strumenti per gli studenti, andando oltre il mero studio del diritto sui manuali ed evidenziando come l’oratoria forense non sia solo un esercizio di stile, ma un elemento fondamentale per guidare il nostro ascoltatore – il giudice – attraverso l’uso della parola. La discussione, quindi, ha permesso di comprendere come l’uso appropriato di tono, modalità espressive e capacità di percepire il contesto in cui si opera siano competenze fondamentali per ogni avvocato penalista.

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