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L'obiezione di coscienza: il difficile equilibrio

Aurelia Losavio
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L’obiezione di coscienza consiste nel rifiuto, da parte di un individuo, di sottostare a una norma imposta dallo Stato poiché da questi ritenuta profondamente ingiusta, in quanto contrastante con i propri valori morali, ideologici, religiosi. Essa si fonda sulla tutela della libertà di coscienza, considerata un diritto inalienabile della persona umana.

La legge 194 del 22 maggio 1978 ha introdotto nell’ordinamento italiano l’obiezione di coscienza sanitaria. L’articolo 9 della sopracitata legge dispone come segue: “Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte […] agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione.”  La norma, quindi, dà la possibilità agli operatori sanitari di astenersi dal compiere le procedure atte a provocare l’interruzione della gravidanza della donna che lo richieda se tale pratica è da loro considerata moralmente inaccettabile. Tuttavia, il medico che si rifiuti di svolgere l’interruzione della gravidanza ha il diritto-dovere di trasferire la paziente a un altro medico (che sia, ragionevolmente, non obiettore), facendosi così sostituire. E’ importante però precisare che il diritto di opporre la propria obiezione di coscienza all’aborto non è privo di limiti. A questo proposito, la legge 194 del 1978 aggiunge che “l’obiezione di coscienza non può essere invocata dagli operatori sanitari quando il loro intervento personale sia indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo.”

I dati del Ministero della Salute rilevano che la percentuale dei medici obiettori in Italia va aumentando di anno in anno. Secondo le recenti stime, il numero di medici che si rifiutano di praticare l’aborto per ragioni etiche e morali è cresciuto di circa il 12%. Il picco più alto, del 95%, si registra in Molise. Il segretario dell’associazione Luca Coscioni, Filomena Gallo, ha denunciato la questione con parole dure: “Tra obiezione di coscienza e chiusura dei consultori le donne hanno paura di recarsi in struttura per l’interruzione di gravidanza e ricorrono così, tra mille pericoli, all’aborto clandestino”.

Purtroppo, a causa del rifiuto quasi massiccio a garantire la procedura per l’interruzione della gravidanza, molte donne si ritrovano a combattere contro questo fardello da sole, senza punti di riferimento e prive del sostegno morale e psicologico di cui, invece, necessiterebbero costantemente in situazioni delicate come queste.

Il fatto che una donna abbia serie difficoltà a contare su una struttura sanitaria che possa garantirle la possibilità di assecondare una scelta così personale e, in quanto tale, insindacabile, limita in maniera deplorevole un suo diritto di scelta e rende, nei fatti, lettera morta quanto disposto dalla legge 194. Questo incentiva molte donne a prendere decisioni drastiche, come praticare l’aborto in altri paesi, sopportando dei costi notevoli o, peggio, ricorrere all’aborto clandestino, correndo, in questo modo, seri rischi per la propria salute.

La questione rende dunque necessario mettere a confronto dei diritti molto diversi tra loro, ma di uguale importanza. Da un lato, il diritto del medico a prendere delle decisioni senza essere costretto ad andare contro la propria etica e moralità; dall’altro, il diritto della donna a essere libera di fare le proprie scelte su questioni che riguardano la sua sfera più intima e personale. A ciò si aggiunge l’ulteriore diritto a trovare il supporto, il sostegno e la protezione adeguati ad affrontare situazioni dolorose e complicate come queste.

Bisognerebbe trovare un equilibrio tra questi diritti insindacabili, un punto di incontro tra essi per fare in modo che si eviti che la prevalenza dell’uno sull’altro. Purtroppo, ad oggi, non si è ancora riusciti a raggiungere questo obiettivo. Ci si dovrebbe impegnare a rispettare le scelte degli altri, a non giudicarle e, in un certo senso, ad aprire la mente a cose che appaiono come nuove e che per questo, forse, suscitano timore. Si dovrebbe imparare a non puntare il dito contro, ma a porgere la mano, perché solo così si abbatterebbe la barriera del pregiudizio e della paura.

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