Misure di prevenzione e reati di pedofilia
Annamaddalena Amanda Cascone
Recenti decisioni del Tribunale di Milano (che hanno ricevuto anche attenzione mediatica) hanno riguardato l’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale nei confronti di persone con pregresse condanne per reati di pedofilia o di maltrattamenti.
Prima di esaminare in dettaglio tali decisioni, appare utile premettere cenni sulle misure di prevenzione.
Finalità e caratteristiche generali
Le misure di prevenzione sono misure special-preventive, applicabili, con varie modalità, alle persone ritenute socialmente pericolose, con la precipua finalità di prevenire, appunto, la commissione di reati da parte di questi soggetti. Per tale ragione, sono dette misure ante o praeter delictum, in quanto prescindono dalla previa commissione di un reato, e sono applicate sul presupposto della sussistenza di meri sospetti o indizi di pericolosità.
Pur essendo applicabili alle persone ritenute socialmente pericolose, vanno tenute distinte dalle misure di sicurezza, con le quali condividono, appunto, il presupposto della pericolosità sociale del soggetto (art. 202 c.p.), anche se in quest’ultimo caso la pericolosità deve essere accertata post delictum, cioè dopo la commissione di un reato (o, per espressa previsione di legge, di un “quasi reato”).
Va però evidenziato che sotto il profilo concettuale non vi è differenza sostanziale, in quanto entrambe le misure in questione sono finalizzate alla prevenzione della commissione di reati (al punto da poterle definire “due species di un unico genus”, secondo C. Cost. n. 177/1980).
Una risalente pronuncia della Corte di Cassazione (ord. n. 895 del 25.10.1965) evidenziava che “la pericolosità sociale, in relazione alle misure di sicurezza è sempre ancorata alla perpetrazione di un delitto cui si aggiunge la convinzione del legislatore o del giudice secondo i casi, della probabilità che il soggetto compia in futuro nuovi reati. La pericolosità, in relazione alle misure di prevenzione, prescinde, invece, dal punto di partenza del commesso delitto e si ricava dalla appartenenza stessa del soggetto alle categorie indicate dalla legge: tali categorie sono talvolta indicative di persone in cui la pericolosità è già insita, ovvia e dimostrata dalla legge stessa e talaltra indicative di elementi che il giudice deve raccogliere e vagliare, con la più ampia discrezionalità per giungere a convincersi che il soggetto appartenga o non appartenga alle dette categorie”.
Quel che è importante puntualizzare, comunque, è che presupposto applicativo della misura di prevenzione è l'accertamento della "pericolosità attuale" del proposto, la quale non è collegata alla commissione di un fatto specifico costituente reato, che solo eventualmente può venire in considerazione, ma alla sussistenza di una situazione complessa, avente "un connotato di durata" e rivelatrice di un particolare sistema di vita del soggetto, che desta allarme per la sicurezza pubblica (in tal senso Corte di Cassazione, Sez. Un., 25 ottobre 2007, n. 10281).
Riepilogando, le misure di prevenzione non sono sanzioni, ma hanno la finalità di prevenire la commissione di reati, e si fondano su un giudizio di pericolosità sociale del soggetto, prescindendo però dalla commissione di un reato. Quanto al contenuto, possono essere di natura personale o patrimoniale, e comportano una compressione di diritti soggettivi quali la libertà personale e la libertà di circolazione, ed anche, nel caso delle misure patrimoniali, l’iniziativa economica e la proprietà privata.
L’attuale normativa sulle misure di prevenzione è contenuta nel Decreto legislativo 6 settembre 2011 n. 159, che ha riorganizzato l’assetto precedente, abrogando la precedente legislazione (legge n. 1423/1956, legge n. 575/1965, ecc.), coordinando e riordinando le varie diposizioni in materia. Il D. Lgs. n. 159/11 è anche conosciuto come “codice antimafia”, in quanto negli ultimi decenni la lotta alle mafie è stato il terreno di maggior utilizzo di queste misure preventive. Le modifiche successive al 2011 hanno esteso l’applicabilità delle misure di prevenzione agli indiziati di reati di terrorismo e reati contro la Pubblica Amministrazione, come pure agli indiziati di reati di maltrattamenti in famiglia e atti persecutori.
I destinatari delle misure di prevenzione
La norma prevede due categorie di soggetti destinatari delle misure in questione: la prima caratterizzata da una sorta di pericolosità “generica”, e la seconda che si caratterizza per una pericolosità “mafiosa” o più correttamente “specifica”.
Nella prima categoria rientrano coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività illecite, nonché coloro che per il loro comportamento appaiano dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.
La seconda categoria comprende le fattispecie di pericolosità connesse alla “criminalità organizzata”, nonché gli indiziati di commissione di particolari reati (ad esempio, gli indiziati di appartenenza ad associazioni di stampo mafioso, ovvero gli indiziati della commissione di specifici reati quali terrorismo, delitti contro la P.A., delitti in materia di armi, delitti di maltrattamenti in famiglia e atti persecutori).
La nozione di "pericolosità sociale"
Le misure di prevenzione, si è detto, non hanno carattere sanzionatorio in ordine a un fatto commesso, ma hanno natura special-preventiva, ossia mirano a prevenire o scoraggiare il compimento di future azioni di reato. Oggetto del giudizio di prevenzione è pertanto la pericolosità sociale del soggetto, ossia quel giudizio prognostico circa la probabilità che il soggetto possa commettere fatti previsti dalla legge come reato. Tale giudizio va desunto dall’esame dell’intera personalità del soggetto, e quindi in primo luogo le condotte precedenti, cui si aggiunge la vera e propria “prognosi” circa i futuri comportamenti.
Il tutto deve sempre basarsi sulla valutazione di fatti specifici e concreti, ritenuti indicatori o sintomatici di pericolosità: ad esempio, la pregressa commissione di reati (specialmente se ripetuti nel tempo) accertati in sentenze irrevocabilio, se ancora in corso di accertamento, dotati di gravità indiziaria, la mancanza di stabile lavoro, la compagnia di pregiudicati, un tenore di vita superiore alle proprie possibilità, ecc.; vanno al contrario esclusi dagli elementi di prova valutazioni meramente soggettive dell’autorità proponente, o semplici sospetti, che non siano supportati da riscontri fattuali oggettivi. Ulteriore presupposto dell’applicazione delle misure di prevenzione è l’accertamento dell’attualità della pericolosità sociale della persona: il giudice che ha adottato il provvedimento di applicazione è tenuto a valutare, anche d'ufficio, la persistenza della pericolosità sociale dell'interessato nel momento dell'esecuzione della misura e non solo al momento dell’irrogazione (in questo senso si è espressa la Corte Costituzionale con sentenza 6 dicembre 2013, n. 291).
La giurisprudenza ha poi chiarito che il venir meno dell’attualità della pericolosità consegue non tanto al semplice decorso del tempo (o eventualmente allo stato di detenzione), quanto a comportamenti positivi del soggetto, indicativi in modo inequivoco che lo stesso abbia cambiato condotta di vita.
Le singole misure di prevenzione
Le misure di prevenzione possono essere personali o patrimoniali.
Tra le misure personali troviamo innanzi tutto il foglio di via obbligatorio e l’avviso orale, che sono irrogate dal Questore (ed hanno natura amministrativa).
Vi è poi la misura della sorveglianza speciale - semplice o aggravata dal divieto/obbligo di dimora - che è applicata dall’autorità giudiziaria. La sorveglianza speciale si traduce in un incisivo controllo dell’autorità di pubblica sicurezza sul soggetto, e comporta una significativa limitazione della libertà personale in forza dell’imposizione delle prescrizioni (obbligatorie) previste dall’art. 8 D. Lgs. 159/2011 (tra cui, ad esempio, vivere onestamente, rispettare le leggi, non allontanarsi dalla dimora senza preventivo avviso all'autorità locale di pubblica sicurezza, o ancora, non associarsi abitualmente a persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza, non accedere agli esercizi pubblici e ai locali di pubblico trattenimento, ecc.).
A queste prescrizioni il Tribunale può aggiungere il divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più regioni, ovvero, con riferimento ai soggetti di cui agli articoli 1, comma 1, lettera c), e 4, comma 1, lettera i-ter), il divieto di avvicinarsi a determinati luoghi, frequentati abitualmente dalle persone cui occorre prestare protezione o da minori.
Tra le misure patrimoniali ricordiamo il sequestro, la confisca, l’amministrazione giudiziaria di beni personali o aziende nonché il controllo giudiziario delle aziende.
L'applicazione a pedofili e maltrattanti
Come anticipato sopra, negli ultimi tempi vari tribunali hanno cominciato a fare applicazione della misura della sorveglianza speciale nei confronti di soggetti che hanno commesso reati in danno di minori (come, ad esempio, adescamento di minorenni, anche tramite social, c.d. “grooming”, corruzione di minorenni, abusi sessuali, detenzione di materiale pedopornografico), ovvero autori di reati di maltrattamento o atti persecutori.
In questi casi, il giudizio di pericolosità sociale si fonda solitamente sulla personalità del soggetto e sulle recenti vicende giudiziarie pregresse che hanno contraddistinto la vita dei soggetti proposti, e che fa ritenere, con alto grado di probabilità, che le precedenti condotte di reato siano diventate in un certo senso abitudinarie e, quindi, che il soggetto non si asterrà dal reiterarle in futuro. Tale circostanza va chiaramente verificata in concreto caso per caso, alla luce degli elementi di fatto accertati, non potendo diventare una presunzione applicabile automaticamente.
La pericolosità, come già anticipato sopra, deve sussistere al momento della formulazione del giudizio: il presupposto per l’applicazione delle misure di prevenzione, infatti, è dato dall’accertamento dell’attualità della pericolosità sociale del soggetto, che non deve essere confusa con la propensione a commettere azioni delittuose.
Se il soggetto, nonostante le varie condanne riportate, ha proseguito negli anni a mettere in pratica le sue condotte devianti, sia attraverso il fenomeno del “grooming”, sia in contesti “reali”, ad esempio masturbandosi in luogo pubblico con attenzione rivolta a minorenni che giocavano nei pressi, allora appare evidente che sia in qualche modo “dedito” alla commissione di reati particolarmente orientati verso una determinata categoria di persone vulnerabili (minori, donne), ed è proprio questo aspetto a rendere necessaria (al di là delle eventuali condanne subite ed espiate o ancora da espiare) un’attività di “contenimento” che possa neutralizzare la pericolosità accertata.
In questa prospettiva, l’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale, opportunamente accompagnata da prescrizioni calibrate sul caso concreto, può concretamente facilitare un controllo sul soggetto pericoloso, dissuadendolo dal compimento di ulteriori comportamenti illeciti, o comunque rendendo più difficile la loro commissione.
Le prescrizioni utilizzate
Accanto alle prescrizioni base della sorveglianza speciale (come fissare all’atto della sottoposizione la propria dimora e farla conoscere all’autorità di pubblica sicurezza, non allontanandosi senza preventivo avviso; vivere onestamente; rispettare le leggi; ecc.), possono essere stabilite ulteriori prescrizioni particolari quali, ad esempio:
- non accedere alla rete internet o ai canali comunicativi c.d. social, per ricercare o comunque effettuare dialoghi o comunicazioni di qualsiasi tipo con determinati soggetti (i.e. minorenni, ovvero le vittime delle condotte precedenti);
- non frequentare luoghi normalmente frequentati da determinati soggetti: nel caso di minorenni, ad esempio, scuole, impianti sportivi, oratori, mantenendosi in ogni caso ad una distanza minima stabilita; nel caso di altre categorie di persone, ad esempio, i luoghi di dimora, di lavoro o di studio.
Ma accanto a queste vi è una ulteriore prescrizione che può essere ingiunta, di carattere terapeutico, ossia quella di “seguire un piano di intervento trattamentale che lo porti, attraverso indicazioni di tipo clinico-terapeutico realizzate dagli esperti incaricati, a prendere coscienza del forte disvalore delle condotte violente in una prospettiva di contenimento delle pulsioni violente e di razionalizzazione degli avvenimenti” (v. decreto Trib. Milano, sez. autonoma misure di prevenzione 13.1.2021).
In questi casi è la prescrizione più qualificante, l’unica che può offrire al sorvegliato speciale una valida via di uscita per intraprendere un percorso di radicale cambiamento personale che conduca a sviluppare sane capacità socio-relazionali, con l’ulteriore prospettiva di abbattere la recidiva.