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Questo non è amore

Carmen Magliulo
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“…Questo non è amore”, così recita il manifesto del progetto ideato e promosso dalla Direzione centrale anticrimine del Dipartimento della pubblica sicurezza.

Se ti intimidisce, se ti offende, se ti umilia, non è amore.

Se ti spinge o ti schiaffeggia, se ti prende a calci o a pugni, se ti fa del male fisico, non è amore.

Se minaccia la libertà tua e dei tuoi figli, anche economica, non è amore.

Sembra di ripetere l’ovvio, eppure essere attaccata o minacciata verbalmente, subire violenza psicologica, essere controllata in maniera soffocante e maniacale dal proprio compagno ed essere costretta ad avere un rapporto sessuale contro la propria volontà, sono solo alcuni degli esempi di violenza che ancora oggi continuano a colpire molte, troppe donne.

 

Era il 17 dicembre del 1999 quando, con la risoluzione n. 54/134, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite decideva di celebrare il 25 novembre come la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne; ed era solo il 2013 quando, in Italia, veniva ratificata la Convenzione di Istanbul (con la legge 27 giugno 2013 n. 77) per la prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica e, contestualmente, si procedeva all’emanazione della cosiddetta “Legge sul femminicidio” (d.l. 14 agosto 2013, n. 93). Tutte iniziative volte a generare una maggiore consapevolezza non solo nelle vittime ma anche nei carnefici, per far sì che i numerosi atti di violenza non rimanessero impuniti e che le donne avessero il coraggio di salvarsi, denunciando ciò che accadeva nelle loro vite.

 

Oggi è il 25 novembre 2018 e i dati relativi alle ultime stime dell’Istat sulla violenza di genere, risalenti al 2016, descrivono una realtà diversa da quella che molti idealizzano. I numeri riguardanti il fenomeno sono in crescita e destano sempre più timore: nel nostro Paese sono state 6.788.000 le donne fra i 16 e i 70 anni ad aver subito violenza fisica o sessuale, una su tre; di queste, 2.800.000, ovvero il 13,6%, hanno subito violenza da parte dei partner, attuali o ex. Non solo, pare che a crescere sia anche la “paura della violenza”: il 53% di donne in tutta la Comunità Europea afferma di evitare determinati luoghi o situazioni per paura di essere aggredita. Fin troppo spesso poi è la famiglia, un nucleo affettivo che dovrebbe rappresentare un luogo di rifugio per ognuno dei suoi componenti, a diventare il contesto in cui la maggior parte delle volte la donna rimane vittima della discriminazione nei confronti del suo genere; la percentuale delle donne uccise in ambito familiare e/o affettivo è aumentata fino ad arrivare al 72%. Molti riconducono il problema ad una cultura sessista e misogina fin troppo radicata nella società italiana e alla carenza di un’educazione al rispetto di genere sia in ambito scolastico che familiare.

 

È quando continua a perpetrarsi la commissione di atti così atroci e si raccolgono dati come quelli di cui sopra che ci si mobilita sempre di più. E se le leggi che condannano la violenza sembrano non intimorire a sufficienza, si organizzano marce e manifestazioni, vengono istituiti numeri di assistenza e Centri Antiviolenza per incoraggiare le vittime a dire ‘basta’. Spesso, però, trovare la forza per denunciare non è così banale come sembra ed anche quando ci si riesce, nonostante la messa a punto di numerosi strumenti di contrasto alla violenza di genere, la risposta al fenomeno (e, prima ancora, la prevenzione) rimane ancora troppo lenta. Lo è stata per tutte le donne che negli ultimi anni, pur denunciando, hanno dovuto subire il peggiore degli epiloghi.

 

Quello su cui vorremo porre l’accento, tuttavia, è che il 25 novembre non è solo oggi ma è anche domani, lo sarà tra venti giorni, tra sei mesi oppure nove.

“I diritti umani delle donne sono un’inalienabile, integrale e indivisibile parte dei diritti umani universali” - e lo sono tutti i giorni dell’anno. 

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